mercoledì 25 gennaio 2012

Georges Méliès: il padre della fantasia (filmata)


Il film Hugo Cabret di Martin Scorsese è in testa per le nomination agli Academy Award (ben 11), ma non è di questo che voglio parlare qui nel blog bensì di un personaggio che compare nel film: Georges Méliès, interpretato da Ben Kingsley.

Chi è Georges Méliès? Forse quest'immagine vi farà venire in mente.




Ovviamente non è lui Méliès, ma si tratta del suo fotogramma più famoso, quello per il quale è ricordato. Ovvero, il fotogramma del film Viaggio nella Luna del 1902



Ecco qua il vero Méliès.



Se ai Fratelli Lumiére viene dato il merito di aver ideato il cinema come ripresa dal vero, a Georges Méliès invece è dato il merito di aver pensato il cinema come fantasia su pellicola.
Méliès era un illusionista quando rimase colpito da questa scoperta dei fratelli Lumiére. Bisogna ricordare che la loro scoperta non è che una perfezione di tecniche antecedenti tra le quali la lanterna magica (una specie di videoproiettore) tanto che capì il potere di questa nuova prodigiosa arte.

dal libro Il cinema muto - Un linguaggio universale di Michel Marie

Il "poter registrare la vita com'è" non era quello che interessava a Georges Méliès il quale, nel 1897, costruisce a Montreuil un vero e proprio studio cinematografico, dove realizza quei film a trucchi che diventeranno il suo tratto distintivo. All'inizio le sue immagini non riproducono altro se non gli spettacoli di illusionismo che egli mette in scena al teatro Robert-Houdin (Escamotage d'une dame chez Robert-Houdin, ad esempio, in cui fa sparire l'assistente Jehanne d'Alcy o la trasforma in uno scheletro, per poi restituirle le sue forme). In seguito, sviluppando le storie allo scopo di mettere in risalto i trucchi, Méliés moltiplica la successione dei quadri, arrivando a comporne una trentina per un "lungometraggio" considerato tra i suoi capolavori: Il viaggio nella Luna.
Tuttavia, fino alle ultime pellicole realizzate nel biennio 1912-12 (ad esempio Le chevalier des neiges, 1912, oppure Le voyage de la famille Bourrichon, 1913), Méliès resta fedele a un modo di rappresentazione assai coerente, un modo che si impone all'incirca fino al 1908.
Il termine utilizzato per indicare la scena filmata non è più veduta (vue), ma quadro (tableau). I quadri, anche in successione funzionano in maniera autarchica: danno vita a un'azione il più possibile completa che vi si svolge integralmente. L'inquadratura mostra un campo medio, finalizzato alla ripresa della scena nella sua totalità, e la macchina da presa è posizionata in maniera orizzontale e frontale. Tutti questi aspetti determinano un movimento centrifugo dei segni e dei gesti, movimento che si oppone, come ha dimostrato Noel Burch ne Il lucernario dell'infinito, a tutte le operazioni di "centramento" dello sguardo e dei personaggi, nonché del loro punto di vista.
Da qui l'esperienza dell'esteriorità primitiva, che caratterizza il cinema dei primi anni, esperienza che si distanzia profondamente dai tentativi posteriori del cinema di integrare - attraverso lo sguardo, i raccordi e il montaggio - lo spettatore nella scena filmica.
Le prime pellicole di Ferdinand Zecca, Albert Capellani, Alice Guy, Louis Feuillad e altri sottostanno a questo modello e a questo tipo di messa in scena. Un film celebre come Histoire d'un crime (1901), ad esempio, è realizzato in studio, con campi medi, inquadrature frontali, scene autonome in cui è sviluppato un piccolo racconto e un protagonista relativamente anonimo. Ritroviamo tutti questi elementi in centinaia di film del periodo: Ali Baba et les 40 voleurs, Aladin et la lampe marveilleuse ecc. I riferimenti estetici di Méliès concernono sia la scelta del music-hall sia gli ambiti del disegno e della caricatura. La messa in scena del regista francese, infatti, riduce la profondità di campo a favore degli effetti "di superficie" e del grafismo visivo. In questo senso, Méliès prefigura quel tipo di cinema che privilegia la cura del dettaglio decorativo e lo storyboard, quello dell'operatore spagnolo Segundo de Chomon, fra i primi a usare gli effetti speciali per Pathé e a colorare a mano i fotogrammi con la tecnica del pochoir. Vi è anche un'estetica "caligarista" (riferita al film espressionista di Wiene) assai grafica, estetica che attraversa l'intera storia del cinema fino ai giorni nostri ponendo grande attenzione alla ricerca plastica (un esempio per tutti: i film di Tim Burton.)


Se volete ringraziare per il senso di meraviglia che provate nel viaggiare in altri mondi, sapete chi ringraziare.
Grazie a lui si può davvero fare adesso un...


Un viaggio attraverso l'impossibile
(Le voyage a travers l'impossible, 1904)


P.S.: C'è anche da dire che ora, con tutti questi effetti speciali strabordanti, spesso la meraviglia non è più presente, neanche contemplata.
Credo che a volte sia preferibile tornare un attimo indietro o almeno calibrare bene. Oppure non affidare solo agli effetti speciali il compito di raccontare una storia.


4 commenti:

  1. è lui l'inventore del cinema che più mi piace!
    i lumiere si possono anche tenere il loro cacchio di neorealismo ahaha

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  2. conoscevo quell'immagine, ma non sapevo chi ne fosse l'autore :)

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  3. @ Cannibal Kid: Non disprezzerei tanto il neorealismo. Ho visto Ladri di biciclette e non mi sono per niente annoiata.
    Anche a me piace il cinema con un guizzo di follia, ma se una storia è neorealista ed è anche raccontata bene, non mi dispiace.
    Più che altro molti credono di essere neorealisti oppure anche onirici e poi combinano un pasticcio.

    @ Hob03: Mi fa piacere di aver colmato questa tua lacuna :D Ma credimi ci sono cose che non sapevo nemmeno io prima di realizzare il post. E' come se questo mio blog fosse una creatura a sé oppure un'altra parte di me. Non so se anche tu hai questa sensazione.

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  4. Ciao,

    se ti è interessato questo articolo, forse può interessarti anche lo spettacolo "Méliès & me": http://michelecremaschi.initinere.net/meliesandme

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Grazie per i commenti

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