mercoledì 17 gennaio 2018

Teatro Accademia Marescotti (quinta parte)




Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte



Quinto appuntamento quello di sabato 13 e domenica 14 gennaio
Per tutto sabato abbiamo Ivano Marescotti e ci ricorda che qui noi, in questa sede, siamo tutelati. Non c'è nulla da dimostrare né agli altri, né a se stessi.
Non ci si deve intimorire di spingersi oltre. Anzi, a volte viene chiesto di esagerare, non per portarlo poi in scena perché, come ama ricordare l'attore romagnolo, è la ricerca ciò che conta.
Si esagera perché si sente il bisogno di fare quel passo in più e anche se spesso noi che vediamo ridiamo, non è mai per malignità.
Anzi, c'è un tifo interiore quando si vede quel passo in più fatto perché così come gli attori sul palco devono essere in ascolto l'uno con l'altro, chi guarda, soprattutto se si è in un gruppo come questo, siamo in ascolto di chi sta recitando, cercando di capire cosa non ha funzionato per poi riferirlo.
Tutto per quel passo in più.




Quello che si vede in scena è quello che succede e quello che succede è quello che si vede in scena
Questa frase ce la ripete spesso Ivano Marescotti anche quando gli spieghiamo che cosa avevamo in mente nel fare la scena.
Ma il punto, ci spiega poi, è che se non si è visto, non ha senso. Lo spettatore non può immaginare quello che pensavamo e il significato che c'è dietro. Il pensiero non ha fisicità e sta a noi a dare corpo e condurlo allo spettatore.
Non possiamo aspettarci che lo spettatore colga se non mostriamo i nostri pensieri con le azioni.
Le parole vengono dopo.
Così come ci si cura di imparare a memoria le parole, è fondamentale avere cura delle azioni. Anzi, ancora prima delle parole, bisogna avere chiaro le azioni poiché da esse scaturiscono le parole, dal sottotesto delle azioni.
Le parole sono una maschera: "nascondono" il vero volto delle azioni
Per questo Ivano Marescotti ci suggerisce di andare contro il significato delle parole, di andare contro ciò che normalmente si penserebbe, di trovare delle complicazioni che abbiano logica. Se no il rischio è che non c'è una vera e propria evoluzione dei personaggi e dei rapporti tra di loro facendo così abbassare l'attenzione del pubblico.








Siamo noi che decidiamo il sottotesto da dare alle parole che sono sempre le stesse, ma le azioni, l'intonazione no. 
Si va sul palco per portare la vita del personaggio, chi è, che cosa fa, dov'è, da dove viene e dove andrà, quando e il perché. Tutto questo, anche se si tratta di un personaggio che ha poche battute o anche nessuna, non va assolutamente dimenticato. 
Le espressioni del personaggio scaturiscono da ciò che questo sente. Non bisogna predisporsi delle espressioni come se fossero stampate, impostate. Anche perché l'effetto dato può essere opposto di ciò che si vorrebbe.

Un esempio:



Dawson Leery (James Van Der Beek) nella serie televisiva Dawson's Creek



Anche se si piange, anche se spendiamo tutto di noi stessi per fare quell'espressione, tutto ciò non ha importanza se dietro non c'è verità, il che non vuol dire per forza andare a ripescare un nostro ricordo in quella stessa identica situazione anche perché molte esperienze non sono state vissute (Un esempio che ci ha riportato Ivano Marescotti all'inizio del 100 ore è stato: "Se devo interpretare un assassino che faccio? Uccido uno per capire poi come ci si sente?")
Fondamentale poi è il rapporto tra l'attore e lo spazio: tutto va calcolato in modo da non coprire gli altri o essere coperti e che la scena sia visibile da ogni punto di vista.






Tutto ciò che succede in scena, succede per la prima volta. Per essere credibili, ogni secondo deve essere imprevedibile.
Questo è un compito difficile per l'attore perché bisogna imparare sia le nostre battute sia quelle degli altri, ma non bisogna dare l'impressione di sapere le battute a memoria anche se sono famose.
Stare in ascolto degli altri per potersi mettere in relazione e non dire la nostra battuta aspettando poi che l'altro ce la dia per poi rispondergli e così via... 
Rimanendo nel qui e ora (perché tutto avviene nel qui e ora e si nota se l'attore non è presente alla scena), si porta vita sul palco.
Va benissimo poi se capitano degli inciampi per esempio una parola che non viene, interrompere bruscamente l'altro senza averlo deciso prima.
Sfruttate quell'inciampo. E' il personaggio a sbagliare non voi! ci ricorda Ivano Marescotti così come ci spiega che lì sul palco c'è l'essere umano che non è perfetto.
Non è come nella musica dove non c'è esitazione. Anzi, inciampi così portano verità e questo l'abbiamo visto





Domenica 14 abbiamo per un'ora Christian Amadori, insegnante de Il Circolo degli Attori.
In quest'ora ci insegna sull'importanza del gruppo e questo non importa da quanto tempo si è nel gruppo. 
Per esempio fare cerchio, farlo guardandosi negli occhi e non i piedi (Christian Amadori: Quando guidi, guardi le ruote di chi ti è davanti?) vedere con la coda dell'occhio le spalle di chi abbiamo ai lati. Se poi qualcuno entra o esce dal cerchio, questo automaticamente si modifica.
Diversi esercizi ci ha fatto fare. Per esempio, così come succede al diaframma dove ci sono due forze opposte (si è parlato del diaframma nella quarta settimana), ci dice di comprimere le mani di fronte al petto, come nell'immagine qui sotto (trovata su Google) premendo bene i palmi, e fare una nota senza stare a pensarci troppo.





Sentiamo la voce che si riscalda, avere maggior corpo.
Altri due esercizi sono stati aver ben chiaro a chi volevamo dire le nostre parole (anche una canzone, l'importante era non recitare) e l'esercizio dell'arco ovvero dal basso tirare indietro l'arco, alzandosi fino a tirarla e poi lasciare andare la nostra freccia ovvero la nostra voce che segue l'andamento prima da piano per poi intensificarsi. Lo sentiamo noi quando si lascia andare la freccia (la voce) che non solo viene scagliata lontano ma ci porta come se da arcieri fossimo diventati freccia attraverso lo scoccare dell'arco.
Per ultimo, porta un esercizio che porta sempre a lezione nel Circolo degli Attori (così come molti esercizi qui proposti) ovvero nel cerchio, farsi avanti un passo e fare un suono. Ognuno poi si fa avanti un passo creando un altro suono. Così alla fine abbiamo un'armonia di suoni diversi.
Christian Amadori ci fa segno con la mano di quando abbassare o alzare il volume per poi far segno di smettere e chiedendoci di rimanere in silenzio.
E' tutta lì l'armonia creata, tutta in quel cerchio. 


A seguire e per tutto il giorno, c'è Alessandra Frabetti, insegnante di dizione che ci aiuta nelle nostre scene non solo correggendo la nostra dizione ma anche dandoci direttive su cosa migliorare.
Ci ricorda che la dizione è l'alfabeto del testo e va ricercata e studiata, segnando tutti gli accenti giusti, appena si ha il testo. Non è qualcosa che si può fare dopo aver imparato a memoria.
Imparare la dizione vuol dire anche capire cosa vuol dire il testo. L'interpretazione viene sempre dopo.
Un'espressione che è venuta fuori domenica è buon senso, avere buon senso. 
Un elemento di buon senso è lasciarsi trascinare dalle situazioni proposte in scena anche perché molte di queste sono ricavate da situazioni di vita di tutti i giorni, qualcosa in cui ci possiamo relazionare in qualche maniera, per esempio arrabbiarsi con chi non è presente, con una persona che ti ha deluso, prendersi cura di un'altra persona...
Tu sei il personaggio e in quel momento si sta relazionando con un altro, si sta mettendo in ascolto nel qui e ora (so che può sembrare tanto un discorso filosofico o anche esoterico ma così è nel teatro, semplicemente si fa il tutto tramite le azioni).
Un discorso a parte merita il teatro dell'assurdo dove non sono posti paletti e a volte non c'è una vera e propria scenografia. Non si deve assecondare l'assurdità cercando di essere assurdi, ma anzi il testo risulta divertente se ci si mette lo stesso impegno di un dramma scespiriano. Questa poi è come una regola quando ci si rapporta con un testo comico ovvero non dirlo come se fosse un testo comico, con l'intenzione di far ridere ma trovandoci la serietà, quella nota drammatica.
L'attenzione è stata data molto alla voce. Così come per le espressioni preimpostate, stessa cosa è da evitare con le voci preimpostate come quelle sospirate quando si sta dicendo qualcosa che ha suspence oppure infantili, oppure con il respiro ansimante. Non c'è un vero impegno, ma solo un uso di ciò che è manierato.
Sempre per quanto riguarda la voce, ovviamente deve essere sentita sempre, anche quando si recita qualcosa di intimo e qui in particolar maniera bisogna spingere, sostenere col diaframma.
Ciò che portiamo in scena è il conflitto non l'armonia, personaggi che hanno intenzioni opposte e questo avviene sia nel dramma che nella commedia.



Finisce domenica e io ho cominciato a divertirmi con la mia scena. L'ho sentita maggiormente, grazie anche al mio collega di scena.
Il prossimo appuntamento è sabato 27 e domenica 28 gennaio.


Foto di Chiara Roncuzzi.


Sesta parte
Settima parte
Ottava parte
Nona parte
Decima (ed ultima parte)

1 commento:

  1. Caspita, che esperienza speciale!
    Chiacchieravo qualche giorno fa su come l'imparare e fare e a capire le opere d'arte si rifletta nella vita anche senza che ce ne accorgiamo. Si parlava di pittura, un'arte che comunque, da osservatori (e ad un certo punto anche l'esecutore diventa osservatore), si vive dal di fuori. In teatro invece è tutto vissuto sempre direttamente e quindi moltiplicato all'ennesima potenza rispetto ad altre arti! Che esperienza fortissima, di arte e di vita!
    Non riesco proprio a trovare il tempo di seguirti con costanza ma anche quel poco che riesco a leggere mi "sconvolge" e m'incanta.

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Grazie per i commenti

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