martedì 7 febbraio 2017

Laboratorio teatrale 100 ore con Ivano Marescotti (quarta parte)


io durante il monologo che ho portato
foto di Chiara Roncuzzi, insegnante del Circolo degli Attori


Prima parte
Seconda parte
Terza parte


Siamo giunti al quarto weekend, a metà del percorso.
Si avvicina sempre di più la data dello spettacolo finale e quindi ci è stato chiesto di pensare a cosa portare, di cercare autonomamente.
Essendo da sola e avendo difficoltà nell'incontrare gli altri ragazzi se non durante il corso (alcuni vengono da fuori Ravenna), ho pensato ad un monologo.
Ho chiesto aiuto a Cristiano Caldironi, direttore artistico e insegnante del Circolo degli Attori, e mi ha saputo consigliare un monologo che alla fine porterò nello spettacolo. Per questo non vi rivelo di che si tratta perché vorrei parlarvene dopo che è stato fatto lo spettacolo.
Nello spettacolo non reciteremo tutti assieme, Ci saranno scene a due, a tre, anche a quattro forse e monologhi. Avremo pochi minuti a disposizione, ma questo non vuol dire che non siamo partecipi.
E' come una squadra di calcio. Ogni giocatore tocca la palla per pochi minuti oppure no ma questo non vuol dire che non si è giocato (in inglese e in altre lingue la parola che indica giocare e recitare è la stessa)
Sabato 4 si inizia con un'ora di riscaldamento tenuta da Cristiano Caldironi (ricordo che questo laboratorio è organizzato proprio da Il Circolo degli Attori) dove noi, per tutta la stanza, camminavamo tenendo ben in mente che non ci dovevano essere spazi vuoti. Questo per noi rappresentava il sottotesto, qualcosa da tenere in mente anche durante le diverse microazioni.
Infatti ad un battito di mani, ci era chiesto di avere un'emozione, prima la risata, poi la rabbia, poi la tristezza, l'amore.



Era essenziale avere in sé un'immagine che ci ricondusse a quell'emozione per poi, quando è il momento, di esprimerla e infine tornare neutri e ricominciare a camminare.
Tutto questo può sembrare meccanico, ma nell'immagine che abbiamo prima bisogna cercare la motivazione, qualcosa che ci abbia fatto suscitare quell'emozione.
Dall'esterno, il pubblico non può sapere a cosa stia pensando l'attore (anche se a volte vedo che alcuni confondono l'attore con il personaggio). Non è necessario ricordare l'evento più tragico della nostra vita o il più significativo.
Inoltre per alcuni ruoli è impossibile andare a cercare qualcosa che sia attinente. Se tipo vi è stato chiesto di fare un assassino, come farlo? Non è che si va ad uccidere qualcuno per poi capire che cosa si prova.
Però c'è qualcosa che può aiutare, un'emozione che ci è andata vicina e non necessariamente deve essere voler vedere morto qualcuno.
Con l'esperienza si perfeziona.
Inoltre è anche importante, in questo frangente, sentire quanto ci abbiamo messo a richiamare le immagini, quanto quell'emozione era familiare in noi.
Nel teatro poi non bisogna cercare l'emozione fuori, guardandoci nello specchio e vedere qual è la più consona. Bisogna cercare dentro.
Le parole di Cristiano, oltre a dirci l'emozione, ci hanno condotto lungo questo esercizio che serve anche per estraniarci dalla nostra quotidianità ricordandoci sempre il sottotesto ovvero riempire ogni spazio della stanza.
Si è passato poi al contatto con un'altra persona, prima visivo e poi tattile stringendoci la mano.
Anche qui era essenziale includere una terza persona che era rimasta isolata così come questa persona doveva essere forte con la sua presenza.
Nel teatro non c'è spazio per l'egocentrismo, non si sale sul palco per mettersi in mostra, per far vedere a tutti quanto si è bravi.
Anzi, un attore che sale sul palco con questa convinzione mostra subito la sua debolezza. Inoltre nel lavorarci, sentendo alcune esperienze, sono persone che non sono disposte a collaborare con l'altro, a cambiare i loro schemi.
Stare sul palco è una sensazione meravigliosa ma non bisogna dimenticare che non ci siamo solo noi. Ci sono altri attori dai quali possiamo ricavare forza e poi c'è lo spettatore che non va mai dimenticato.
Quando abbiamo fatto la risata, ho cercato di ridere in maniera differente. Non bisogna dimenticare che come una scena può essere espressa in diversi modi, così è valido anche per le nostre emozioni.
Noi magari ridiamo in un modo, ma non è detto che questo valga per il personaggio.
Dobbiamo essere a completa disposizione del personaggio, togliere noi, i nostri pensieri e i nostri giudizi per interpretare un personaggio.
Per questo viene riproposto l'esercizio fatto la scorsa volta ovvero di abbandonarci alla musica e lasciare che questa ci muova così come il vento muove un campo di erba alta.
Non bisogna seguire il ritmo in 4/4 ma ascoltare l'andamento, ogni singolo strumento.
Non facendo movimenti prestabiliti, ci si trova in una situazione precaria perché non si sa bene che cosa succederà.
Inoltre siamo come marionette, ma dobbiamo comunque rimanere coscienti di noi stessi.
Un attore non fa lo psicodramma. Quest'ultimo ha una sua funzione che è diversa dal recitare.
Il disarticolarsi non deve indurre a decidere comunque delle posizioni perché anche qui non c'è un abbandono totale così come non ci deve essere un autocompiacimento.
Qui ho trovato ancora più difficile l'abbandono totale perché sentivo la fatica e in alcuni momenti ero io a muovermi.
Si passa alle scene da portare.



un momento del corso



Rispetto all'inizio, tutti noi abbiamo pensato agli oggetti da portare, al fare azioni e che non è sempre necessario guardarsi negli occhi.
Nel mio monologo mi sono relazionata con una tazzina da tè, nel tenerla cercavo di esprimere le mie sensazioni così come nel toccarla.
Il mio personaggio si confidava ricordando un evento del suo passato che l'ha turbata condizionandole la vita, l'avevo pensata, basandomi sul personaggio, con una voce dolce, senza scatti di rabbia e un sorriso accennato (sempre per il motivo che ci sono mille modi per esprimersi).
Solo che sto ricordando un evento del passato e quindi c'è stato il tempo per rielaborarla e se da un punto di vista emotivo potevo essere convincente, non ho esplorato altre possibilità.
Ciò che mi ha detto Marescotti sabato è la stessa frase di quando ho presentato il monologo al primo giorno del primo weekend, di ridirlo come se fosse trascorso del tempo ma l'ho detto più o meno con la stessa intenzione di prima (anche perché non avevo capito bene la richiesta), quando l'evento era appena accaduto.
Nell'interpretare questo monologo che porterò allo spettacolo, avevo pensato soprattutto al contesto dove si trovava il personaggio visto che è tratto da un testo teatrale.
Ma mi è stato detto che potevo sentirmi libera di esplorare altre possibilità e di non rimanere condizionata dal personaggio.
Nel guardare gli altri poi si impara, anche nell'ascoltare frasi che vengono ripetute.
Se ciò succede, non è mai a caso.
Anche perché vedere e rivedere dopo aver visto è sempre più utile che il semplice ascolto.
Come ripete, non ci sono sbagli ma azioni, momenti che non funzionano e siamo qui per imparare, per compiere passi in più.



un altro momento


Ciò che fa un altro, che funzioni o no, è sempre utile e anche nei momenti di risata non è mai per deridere qualcuno anche se capisco che chi si trova là possa sentirsi a disagio.
Oppure quando c'è un silenzio imbarazzante, ma siamo qui anche per imparare a non aver paura di essere giudicati.
Così quello che all'apparenza può essere uno sbaglio diventa un'occasione di crescita, non soltanto perché si impara cosa non ha funzionato ma anche perché si impara a rilassarsi nei confronti degli altri.
Anche per quanto riguarda gli oggetti. Se si fanno delle azioni non è per liberarsene, come dice Ivano Marescotti, ma per relazionarsi con essi. Un oggetto non è mai qualcosa di casuale anche se cade.
Diventa qualcosa di vivo.
La motivazione non viene solo dalle parole.
Quello che diciamo è filtrato da quello che si vuol esprimere e dalla relazione che vogliamo avere con gli altri e con ciò che ci circonda.
A molte delle scene è stato chiesto di stringere i tempi.
Le pause sono essenziali, hanno lo stesso valore della musica ma bisogna stare attenti a non creare tempi morti. Inoltre se il tempo della scena ha la stessa intensità, senza variazioni di ritmo, si avverte la pesantezza.
Drammaturgicamente il tempo deve essere compatto e il ridurre i tempi non vuol dire buttarli via.
Inoltre è essenziale che ogni personaggio abbia un ritmo diverso dagli altri anche se si trovano nella stessa situazione.

Per imparare poi bisogna guardare i migliori e così ci viene fatta vedere una scena tratta da Un tram che si chiama desiderio di Elia Kazan.
La scena è di quando Stanley Kowalski (Marlon Brando) e Blanche DuBois (Vivien Leigh) si vedono per la prima volta.
Blanche va a casa della sorella Stella, sposata con Stanley, ed è proprio lì che incontra suo cognato.





C'è lo stare fermi e guardarsi, ma dalla sua posizione, da come tiene le braccia si capisce di come Stanley si stia divertendo.
Inoltre l'essere in casa sua lo fa sentire il padrone della situazione e si intuiscono le sensazioni di Blanche.
Le battute vengono dal movimento ed è il movimento a dire di più riguardo al personaggio.
Nei testi si leggono frasi di seguito e il più delle volte non viene detto che cosa succede. Quindi aggiungere azioni, che siano valide drammaturgicamente, non vuol dire tradire l'autore e la sua opera.
Anzi, si tratta di farla vivere.
Se no, non ha senso fare teatro.
Dopo questa scena, ci viene fatta vedere una scena di una soap opera italiana per capire che cosa non funziona. 


Si passa a domenica 5.
Finiamo di vedere i monologhi che non sono stati visti poi si passa ancora all'esercizio del farsi condurre dalla musica.
A volte Ivano Marescotti viene per muoverci, toccando in alcuni punti della schiena come se stesse modellando la creta. Lo fa per sbloccarci.
In altri momenti ci ferma per vedere qualcuno che ha fatto un passo in più come è successo per un'allieva che noi guardavamo.
Alla musica dei Pink Floyd, e dopo essere stata pungolata da Marescotti, si era lasciata completamente abbandonare. Sembrava posseduta.




Anche perché dal minuto 3:55 comincia un ritmo ossessivo che sembra davvero di essere percorsi dall'elettricità.
Intanto, lei aveva preso spazio, buttandosi e in alcuni momenti le era uscita anche la voce così da indurre Ivano Marescotti a interromperla perché temeva che andasse oltre.
Dopo un attimo che si è ripresa, ci ha raccontato che cosa ha provato. Non era, come dire, in trance. Anzi, era cosciente di quello che stava succedendo e anche se dal di fuori, era parso che stesse soffrendo, lei invece aveva sentito una grande libertà quando si è detta di abbandonarsi completamente alla musica, di lasciare che questa muovesse il suo corpo. Lei non aveva fatto resistenza e più avanti dice che è questione di fiducia, lasciarsi completamente nelle mani di altri o della musica come in questo caso.
Qual è la funzione di tutto questo? Abbandonare i nostri preconcetti, la nostra testa. Se poi si abbandona la paura di risultare brutti agli occhi degli altri, automaticamente e paradossalmente si acquisisce bellezza e potenza.

Si passa all'esercizio degli animali che era stato fatto inizialmente la domenica del primo weekend. Visto che quel giorno non c'ero, mi sono proposta subito e ho chiesto di assegnarmi un animale.
L'animale che mi è stato dato è il bradipo, come sapete un animale lento nei suoi movimenti e che quasi sembra strisciare.
Quindi mi sono completamente stesa e cercando di muovermi con le braccia e le mani il più lentamente che riuscivo, ovviamente non la stessa lentezza del bradipo.
Dal di fuori si sottovalutano tantissimo i movimenti lenti ma impegnano maggiormente i muscoli e si sente ancora di più la gravità soprattutto se si ha un braccio o una gamba in sospensione.
Mi sono concentrata molto su ogni singolo arto solo che non so se dal mio viso si vedeva la fatica. Penso di sì.
L'esercizio degli animali ci fa abbandonare ogni faccetta, espressioni inutili e manieristiche per acquisire di più nell'espressività corporea.
Non bisogna dimenticare che non si fa l'animale, non basta mettersi a quattro zampe per farlo, ma bisogna sentirlo maggiormente in tutto il corpo cercando di modificare la nostra impostazione.
Inoltre, l'animale ci può aiutare per interpretare un personaggio così il movimento lento e minaccioso di un coccodrillo, l'animale di un'allieva, mi ha ricordato una persona che sta per attaccare un altro, conscio che la vittima sarà nelle sue grinfie.

Si passa alle improvvisazioni.
E' importante che a teatro non si svelino subito le nostre intenzioni perché se no è finita, è inutile continuare ad andare avanti. Tutto ciò costituisce il nostro sottotesto e lo si esprime anche negandolo. 
Dopo ogni improvvisazione, Ivano Marescotti ci chiede che cosa abbiamo visto, che cosa ci ha convinti e cosa no.
Si passa allo specchio ovvero due che si mettono di fronte e uno fa da specchio all'altro replicando ogni suo gesto così come le espressioni e il modo in cui tiene per esempio le mani.
Non basta fare lo stesso gesto se poi la mano è in una posizione diversa. Dall'altra parte, ci deve essere una motivazione dietro che spinge alla preparazione.
Poi ci chiede di farci ridere, compito molto arduo perché più il nostro intento è quello di far ridere, più questo non succede.
Anzi, certe azioni fanno più ridere se dette con la massima serietà possibile.
Neanche suscitare commozione è un compito facile.
Infine ci viene chiesto di raccontare una storia, un fatto che ci è accaduto veramente e chi ascolta deve pensare a come rappresentarlo.
Così mi faccio avanti e racconto quel fatto che ho poi narrato in questo post all'inizio.
Al cinema si utilizzerebbero degli effetti per creare il tutto, ma come si fa in teatro che non si può disporre neanche del montaggio?
Si potrebbero usare dei trucchi, ma ciò che è essenziale è ricreare le sensazioni, le emozioni provate.


Finito il weekend.
Per questo mese si passa a sabato 11 e domenica 12 per poi andare al 25 e al 26.
Dopo rimane un incontro a marzo e uno in aprile dove domenica 9 c'è lo spettacolo finale.

Intanto io sto cominciando a ripensare ad alcune mie recitazioni fatte in passato nei diversi laboratori.
Se li rifacessi adesso, penserei ad altre maniere. Ovviamente non rinnego tutto quello che ho fatto.
Si tratta di voler migliorare.


Quinta parte
Sesta parte
Settima parte
Ottava parte (il mio monologo)

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