al tavolo Cristiano Caldironi, direttore artistico e insegnante del Circolo degli Attori,
e Ivano Marescotti mentre si guardava una scena
Prima parte
Seconda parte
Sabato 14 e domenica 15 gennaio c'è stato il terzo weekend del laboratorio teatrale 100 ore di Ivano Marescotti organizzato dal Circolo degli Attori.
Per sabato si doveva portare una delle scene che erano proposte da testi come L'orso di Anton Cechov, Il Calapranzi di Harold Pinter, Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee e Classe di ferro di Aldo Nicolaj.
Io ho scelto una scena tratta da L'orso.
Questo dramma, composto da un solo atto, parla di Elena Ivanovna Popova rimasta vedova e perciò ha giurato di restare chiusa in casa e di non frequentare più nessun uomo. Accanto a lei c'è il suo fedele servitore Luka che cerca di sbloccarla da quella situazione, ma niente. Un giorno arriva improvviamente l'ex ufficiale di artiglieria Smirnov che richiede di riscuotere un debito contratto con il marito di lei.
Ed è proprio di quest'ultima situazione, ossia l'arrivo di Smirnov, che si basa la scena in questione con il rifiuto di lei perché in quel momento non ha soldi e l'insistenza dell'ex ufficiale. Inoltre proprio in quel giorno sono passati esattamente sette mesi dalla morte del marito e non si sente disposta a discutere di questioni finanziarie.
Si chiedeva anche di portare gli oggetti necessari per la scena.
Io ho pensato che, mentre ascoltava Smirnov, si faceva un solitario.
Non trovando le carte da gioco, ho usato dei fogli che avevo e due ragazzi facevano le battute di Luka e Smirnov.
Solo che, per alcuni motivi, non mi ero preparata bene. Nella mente avevo tutto, ma sul piano fisico no e questo si vedeva chiaramente. Io stessa non ero concentrata sul fare il solitario. Prendevo le carte, le mettevo in una sequenza e poi le giravo ma senza precisazione.
Così, anche un po' imbarazzata, mi sono fermata perché mi ero resa conto di non poter più continuare.
E infatti Ivano Marescotti non poteva che essere d'accordo. E' venuto e ha fatto lui la scena facendomi vedere come si poteva fare.
Diverse volte è venuto e ha sostituito uno dei ragazzi ma non per far vedere come si doveva fare bensì come si poteva fare anche mostrando le diverse possibilità che una scena poteva prendere.
Non c'è mai un'unica giusta soluzione per interpretare una scena, ma diversi modi per farla.
Nel testo sono scritte le battute, e anche qualche nota, ma questo non vuol dire che non possiamo interpretarla in diverse maniere.
Anche le battute... Non sempre, anzi molto spesso, il significato delle battute è lo stesso di quello che si vorrebbe dire. Anzi, le battute mascherano il significato.
Quindi Ivano Marescotti consiglia, quando si deve preparare una scena, di avere ben in chiaro prima tutte le azioni, che devono sempre avere un significato drammaturgico, poi di fare la scena con le parole delle intenzioni e infine sostituire queste con le battute del testo mantenendo però la stessa intenzione e le emozioni.
Fare la scena però non è un termine molto corretto anche perché non si va sul palco per fare la scena, per eseguirla come se fosse qualcosa di meccanico.
Si va, come dice, per inventare delle storie.
Se per esempio il regista chiede di fare una tale azione, è l'attore che deve pensare a come interpretarla trovando l'intenzione dietro quel gesto.
E' essenziale che poi ci siano delle contrapposizioni. Bisogna creare tensione che necessariamente non vuol dire litigare. Due personaggi possono avere intenzioni opposte, obiettivi ed urgenze diverse.
Solo così si può creare una scena.
Degli errori che sono stati riscontrati sono la tendenza di sedersi subito quando non è necessario e il parlare guardando sempre negli occhi. Nel primo caso c'è il rischio ad afflosciare trasformando così la scena soltanto in un botta e risposta.
Anche quando si è seduti, il corpo è attivo.
Nell'altro caso, lo sguardo non è necessario per poter ascoltare e rispondere. Anzi, puntando solo lo sguardo in dati momenti questo assume un valore enorme e acquista una maggiore comunicazione.
Un altro errore è quello di prendere passo per passo ciò che ha fatto un altro come se quel modo fosse l'unico esatto, ma come ricorda Marescotti non c'è un solo modo per interpretare una scena.
Gli errori poi sono utili e quando vengono evidenziati non è per far sentire a disagio chi l'ha fatto, ma per aiutare a capire lui e tutti gli altri perché ciò che ha fatto non funzionava così da poter assimilarlo e ricordarlo.
Anzi, è necessario sperimentare, osare,
In questo momento, non è il risultato quello che vogliamo perseguire. Questo avverrà fra qualche incontro quando ci occuperemo dello spettacolo finale, ma prima è necessario poter sperimentare, anche sbagliando.
Sabato abbiamo guardato le scene di tutti i ragazzi
foto di Chiara Roncuzzi, insegnante de Il Circolo degli Attori
I due allievi del corso sono alle prese con la scena tratta da Classe di ferro
Passiamo a domenica.
Ci si è molto concentrati sulle esperienze sensoriali, sull'approfondire determinate sensazioni e rilavorando sui testi.
Per la prima parte della giornata Ivano Marescotti ci ha chiesto di lasciarci trascinare dalla musica, ma non come si intende normalmente ovvero seguendo il ritmo e forme prestabilite di ballo, ma lasciare che la musica ci conduca in un altro mondo.
Non siamo noi a comandare il corpo, ma la musica.
Per farsi capire meglio, Marescotti usa la metafora del vento che attraversa un campo d'erba alta. Noi non vediamo il vento, ma possiamo intuire la sua forza, l'intensità, la forma quando passa per esempio su un campo di erba e così la musica. Dal nostro corpo, si può vedere la forma della musica.
Ma per fare questo è necessario cedere, abbandonarsi alla musica allontanandoci dalla nostra mente e soprattutto dalle nostre inibizioni.
Per aiutarci, ci dice che possiamo chiudere gli occhi così da poterci immergere e andare a cercare non il ritmo che ci fa ballare, ma quello che ancora è più nascosto e lasciare che agisca con noi come se fosse un burattinaio.
Un'altra metafora che ha utilizzato è quella goccia gelida d'acqua che ci cade sul collo, va dentro al nostro corpo percorrendo la schiena. Questa singola goccia modifica la nostra postura e inoltre crea una sensazione.
Inoltre ci dice di non partire subito ma di aspettare che qualcosa ci muova.
Tutto questo per me è familiare perché il lasciarsi condurre dalla musica è un esercizio che faccio spesso a casa da sola.
Ne abbiamo fatti diversi di seguito.
In uno sono anche scivolata per terra (la fatica, in particolar modo alle gambe, si stava facendo sentire) e lì sono rimasta finché non è stata un momento della musica a farmi alzare.
Non conoscevo molte canzoni e anche se per esempio ce n'era una che è molto celebre e che conosco come Another brick in the wall dei Pink Floyd, io lasciavo che fosse la musica a condurmi e questo voleva dire che io non sapevo cosa sarebbe successo dopo, ma solo in quel preciso momento.
E' un esercizio che consiglio a tutti, non solo a chi intende fare teatro.
Poi Ivano Marescotti ha chiesto a dei volontari per altro esercizio ovvero raccontare a un'altra persona un fatto che ci è accaduto, non necessariamente troppo psicologico, e di inserirlo nella storia.
L'altra persona infine doveva raccontare la stessa storia ma non usando le stesse parole di chi l'ha raccontata precedentemente, la sua stessa costruzione delle frasi.
Ci ha parlato infine dell'importanza dei limiti quando si tratta di interpretare un personaggio.
Per esempio, se qualcuno ci chiede di interpretare un personaggio, questo non basta perché bisognerebbe conoscere che tipo di personaggio è, qualcosa che ci possa dare un'idea.
Ci spiega che è la stessa cosa come i giochi per i bambini. Se dici a un bambino Giochiamo? lui risponde A cosa? perché ogni gioco ha i suoi limiti.
E' come chiedere ad un architetto che vogliamo una casa. Lui ci chiederà quanto possiamo spendere, in quanti viviamo, che cosa prevede il piano regolatore...
L'immaginazione si svolge nei limiti e da ciò può venir fuori la genialità dell'attore.
Ci ricorda ancora la differenza tra immaginazione e fantasia per un attore. L'immaginazione sta nella ricerca. La fantasia è come voler fare acrobazie per far vedere tutti quanto è bravo.
In attesa che la lezione ricominci
Dopo la pausa pranzo, si continua con quello che era appena cominciato prima ovvero il lavorare ancora sui testi assegnati.
Anche qui Ivano Marescotti spesso ha mostrato diverse maniere di interpretare una scena sempre per lo stesso motivo spiegato prima ovvero non per mostrare come si dovrebbe fare, ma come si potrebbe fare, i modi per interpretare una scena.
Pure una disabilità, che potrebbe quasi sembrare un ostacolo, rappresenta invece una diversa opportunità per trasformare quella scena, per reinterpretarla.
Anch'io ho rilavorato sulla scena de L'orso.
Non ero contenta di quello che avevo fatto il giorno prima e volevo farla in un'altra maniera perciò Ivano mi ha fatto le cinque W del giornalismo ovvero Who? Where? What? When? Why?
Che personaggio sono? Dove sono? Cosa faccio? In che momento sono? E perché?
Ho detto di essere una ricca signora vedova, mi trovo nel mio salotto nella casa dove abitavo con mio marito e penso a lui perché sono passati sette mesi dalla sua morte.
Ma il pensare alla fine mi dice non è solo questione di farlo con la mente. Che cosa faccio di preciso?
Tra gli esempi che lui fa rispondo Cucito. Ma poi, come mi fa notare Marescotti, si rivelerebbe un errore perché per riportare con le dita il cucito bisogna sapere i movimenti esatti, avere familiarità e io di sicuro non ce l'ho.
Mi chiede se sono in lutto. Rispondo di sì un po' per quello che sento e un po' per dovere pensando agli anni in cui è stato scritto e all'obbligo per le donne di vestirsi di nero portando così il lutto.
Alla fine Marescotti prende un tavolo e sopra ci mette la valigia piena di oggetti che Chiara Roncuzzi ha messo a disposizione.
Guardo nella valigia e prendo il piatto e le posate, ma non era quello che intendeva lui.
Mi spiega che la valigia è quella di mio marito e io la apro perché ci sono i suoi oggetti.
Così mi viene in mente un'idea ovvero sono io a mettere la valigia su quel tavolo.
Bene la scena si può fare.
Sono lì e accanto a me, per terra, c'è una valigia chiusa.
Mi chino, la apro e vedo gli oggetti di mio marito. Sono pervasa dai ricordi.
Prendo la valigia e la appoggio sul tavolo.
Mi siedo e vado a cercare.
C'è un astuccio, lo sento tra le dita, poi lo rimetto al suo posto ma non posso rimetterlo così come se fosse una cosa da nulla, quindi lo ripiego per bene. E poi trovo uno scialle rosso.
Faccio che scivoli nella mano, lo sento tra le mani, vado a cercare il suo profumo.
Arriva il mio servitore Luka e da lì ci sono le battute.
Poco dopo che è arrivato Smirnov, Ivano Marescotti interrompe la scena.
Ha parlato di quanto ero convincente, vera con quella valigia. Anzi, non sono stata neanche eccessiva nell'annusare lo scialle. Era tutto delicato, preciso e si vedevano chiaramente le sensazioni che percepivo.
Solo che quando sono cominciate le battute, si vedeva chiaramente che stavo recitando. Non ero più vera.
Anche perché, come dice Marescotti, introducendo la valigia, questa diventa il punto focale, diventa il marito da proteggere da sguardi indiscreti.
Quando ero lì e alla fine è arrivato il servitore, pensavo subito a volerlo scacciare, che mi lasciasse sola ma ho seguito la logica, un modo prestabilito.
Per dire Basta non è necessario urlarlo, per volere allontanare una persona non è necessario fare la voce grossa e un Mi disgusti! (frase tratta dalla scena de Chi ha paura di Virginia Woolf?) può essere detta come se in realtà si dicesse Ma quanto ti amo! oppure Facciamo l'amore!
Si passa ad un altro esercizio che è stato fatto la domenica dell'incontro precedente, il cerchio neutro.
Io non c'ero però poi ho capito che si tratta dello stesso esercizio fatto un po' di tempo fa al Circolo degli Attori ovvero il personaggio è al centro e risponde a determinate domande che gli vengono fatte da chi è fuori dal cerchio.
Un altro esercizio è stato quello di chiedere a un ragazzo di fare il re e parlarci. Poi gli ha chiesto di indossare la maschera bianca (che non va mai indossata a vista), di raggiungere il centro come prima e di alzare un braccio.
Con la maschera che ci impediva di vedere la sua espressione, il gesto acquisiva più potenza.
Questo per spiegare come non sempre sia necessario affidarsi all'espressività del viso, ma ricordare che c'è tutto un corpo che si può esprimere.
L'ultimo esercizio riguarda ancora la sensorialità.
Ci chiede di sederci in fila e uno di fronte all'altro avendo con noi un oggetto.
Cercando nella mia borsa, ho trovato una conchiglia.
Mi siedo davanti a una mia compagna di corso e tutti noi, con gli occhi chiusi, sentiamo col tatto come è fatto e le sensazioni che ci scaturisce.
Sento la zigrinatura della conchiglia e come in alcuni punti sia ancora più accentuata. Mi diverte tutto ciò. Provo a sentirla sulla guancia, ma non sento molto quindi la provo sulle labbra.
La sento con le unghie e infine picchietto sulla conchiglia per sentire il suono.
Mi riporta a quando ero bambina e cercavo le conchiglie al mare, cosa che tuttora faccio.
Inoltre dall'altra parte è più liscia e la sento. Poi c'è un piccolo spazio e allora col dito provavo a scavare.
Infine Ivano Marescotti ci ha chiesto di raccontare all'altro di descrivere l'oggetto usando le sensazioni che abbiamo ricevuto.
Spesso può capitare che per recitare, come in quello della valigia dei ricordi, si debba usare il tatto per poter comunicare una determinata sensazione.
Con questo esercizio finisce la giornata e ci si saluta per il prossimo incontro.
Altre occasioni per me di riflettere e l'aver fatto quegli errori non mi preoccupa più di tanto. Anzi, sono un'occasione per riflettere ancora meglio. Come mi ha detto Cristiano Caldironi: Con calma, con dedizione, studio e coraggio di sbagliare, le battute usciranno sempre meglio.
Quarta parte
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