martedì 18 aprile 2017

Laboratorio teatrale 100 ore con Ivano Marescotti (ottava parte: il mio monologo)


di Debora Penazzi, una mia amica


Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte
Quinta parte
Sesta parte
Settima parte


Il 9 aprile alle 21 al Teatro Comunale di Cesenatico c'è stato lo spettacolo finale del laboratorio teatrale 100 ore con Ivano Marescotti, organizzato da Il Circolo degli Attori di Ravenna.
Volevo aspettare prima di realizzare questo post.
Volevo avere anche le foto dei miei compagni così da fare un post unico, ma poi ho pensato che sarebbe venuto troppo lungo.
Quindi, in attesa di quelle foto, finalmente posso svelarvi il mio monologo.

Si tratta di Era un ragazzo di Blanche da Un tram che si chiama desiderio. scritto da Tennessee Williams nel 1947.

Ecco il testo che avevo preso in considerazione, trovato qui.

Quando avevo 16 anni, mi innamorai di un ragazzo. Ma così di colpo, e in un modo così pieno, totale! E' come se all'improvviso tu accendi un faro nella penombra, così si trasformò il mondo per me! Ma ero sfortunata. Fu un inganno. Lui aveva qualcosa di diverso, una sensibilità, una mollezza, delicatezza, che non era da uomo, ... Lui cercò aiuto da me. Ma io non sapevo...Io non capii niente ... Sapevo solo di volergli un bene immenso. . . Poi, poco dopo il matrimonio, scoprii tutto. Nel modo più tremendo. Entrando in una stanza che credevo vuota... c'erano due persone a letto... il ragazzo che avevo sposato e un uomo più anziano che da anni era il suo amico... il suo amante. Dopo di che, facemmo finta di niente. Tutti e tre, quella sera stessa, andammo fuori a divertirci, a ballare, e per tutta la sera giù a ridere, a bere, a ballare, a ballare. Ballammo, ballammo tanto! Poi ad un certo punto, nel mezzo del ballo, senza potermi frenare, mi era scappa o detto "ho visto, ho visto tutto... mi fai schifo!". Allora il giovane che avevo sposato si staccò da me e scappò via. Qualche momento dopo, uno sparo! Corsi fuori, tutti corsero fuori, gridavano "Alan! Alan! Il giovane Grey!"… S'era infilato la rivoltella in bocca, e sparato, tanto che il cranio gli era schizzato via.!... E allora il faro che s'era acceso sul mondo, si spense di nuovo e mai più per un solo istante da allora, ha brillato...


Come credo sappiate, da questo dramma è stato tratto il film omonimo di Elia Kazan con Vivien Leigh nel ruolo di Blanche e Marlon Brando in quello di Stanley.
Ed ecco la scena (l'ho trovata in inglese) con Blanche che racconta a Mitch, un amico di Stanley, qui interpretato da Karl Malden, di quando aveva 16 anni e lei si era innamorata di questo ragazzo.
Così come nel testo, nel film loro due stanno parlando dopo una festa ma l'omosessualità del ragazzo è stata omessa completamente.





All'inizio mi sentivo legata alla situazione del testo, ma poi Ivano Marescotti mi ha detto che potevo esplorarlo in diverse maniere.
In quel momento mi vennero in mente due modi: in uno avevo invitato un uomo per cenare solo che poi avevo trovato un ricordo (all'inizio avevo pensato una lettera) e così gli raccontavo di questo ragazzo e in un altro dove tornavo a casa, entravo in bagno e allo specchio raccontavo tutto.
Cosa ho fatto alla fine? La seconda opzione. 
Nel bagno avevo a che fare con gli oggetti di lui, anche con un rasoio, uno di quelli vecchi che si aprono a ventaglio.
E' come se in quegli oggetti ci fosse lui, come se ognuno rappresentasse lui.
Ma prima dovevo togliermi gli oggetti che componevano me.
(tutte le foto che seguono sono di Chiara Roncuzzi, insegnante de Il Circolo degli Attori)



durante una prova



qui mi mostra come tenere in mano il rasoio in modo di farlo vedere al pubblico







Farsi la barba come lui... In tutto quel tempo che siamo stati assieme, io e Alan, l'ho guardato.
Il fatto è che avevo inteso quelle indicazioni letteralmente.
Quindi cosa ho fatto?
Ho cercato su Youtube un tutorial su come farsi la barba e sono riuscita a trovarne uno dove tra gli strumenti usati ci sono appunti il pennello da barba e il rasoio come ce l'avevo io.
Eccolo qua.
Dopo averlo guardato diverse volte, ho provato su di me e alla fine l'ho portato nelle prove.






No, non andava bene.
Il farsi la barba esattamente come un uomo poteva sembrare agli occhi di guarda come se fosse una mia abitudine e non un modo per ricordare il mio amato.
Tutto ciò doveva essere un tentativo più maldestro e a livello sensoriale.
Comunque il guardare il tutorial per imparare a come farsi la barba, non lo considero tempo sprecato. Anzi, mi ha permesso di capire che cosa e perché non funziona.
Il punto è che bisogna contare su qualcosa che possa incuriosire e allo stesso tempo che sia immediato, senza ragionarci troppo.
Fate presente di raccontare una barzelletta, una storia divertente e intanto di dover spiegare ogni dettaglio. Alla fine, chi vi ascolta si perde e non capirà perché la stiate raccontando.
Inoltre fare solamente un monologo ha lo stesso significato di interpretare una scena ed è meglio non perdere tempo con ciò che non si può raccontare.

Così ho ricordato le sensazioni che ho avuto quando, durante il terzo incontro (lo trovi qui), ho interpretato un monologo dove interpretavo una vedova e aveva davanti a sé la valigia contenente gli indumenti e oggetti di suo marito.
Lì mi sono fatta aiutare dal tatto e dall'olfatto, andando a cercare quelle sensazioni, provando a ricordare, come personaggio, che cosa voglia dire avere vissuto una vita assieme e non averlo più con me.
Quindi si fa strada non solo la tristezza, ma anche, e soprattutto, la tenerezza. C'è un sorriso triste, commosso. Ogni gesto doveva essere calibrato, non ostentato.
In questa prova della valigia, ero risultata più vera quando non parlavo e quindi nel monologo che avrei fatto, volevo cercare assolutamente di non creare un contrasto tra i silenzi e le parole.
Inoltre volevo che tutte quelle sensazioni create con la valigia non fossero qualcosa dovute a una pura fortuna così come non volevo farle meccanicamente: avevo bisogno di ricrearle come se facessi quei gesti per la prima volta.

Alla fine si è tolto quel "Quando avevo 16 anni" così da non far capire quanto tempo è passato.


Ora eccovi il filmato.
Volutamente, nel raccontarvi di come ho fatto il monologo, ho tralasciato una cosa del finale.





Guardandomi nel video, mi sono stupita di una cosa.
Quando racconto la fine che ha fatto Alan, il modo in cui lui si è suicidato, io dico "Si era infilato una rivoltella in bocca tanto che il cranio gli era schizzato via."
In realtà la frase doveva essere "Si era infilato una rivoltella in bocca e sparato tanto che il cranio gli era schizzato via."
Non ho detto appunto quel "...e sparato...".
Si potrebbe dire che l'ho dimenticato. Non è poi la fine del mondo. Ma il punto è che non mi ricordo neanche di non averlo detto (come invece ricordo di non aver detto il finale come era nel testo, ma riducendolo un po', e non dicendo "mi fu scappato detto" ). Ero convintissima di averlo detto e mi accorgo poi. quando ho finito il mio pezzo, che cosa non ho detto.
Ho pensato a Blanche, a come si poteva trovare in quel momento, alle emozioni che poteva sentire.
Era come se dentro di sé non voleva ammettere che lui si era sparato per via della sua frase "Ho visto. Ho visto tutto. Mi fai schifo." che poi, nella mia interpretazione, ha voluto cancellare, pulendosi la bocca.
E in quell'istante che si diceva "Mi fai schifo" allo specchio, automaticamente Blanche lo diceva anche e soprattutto a lei.
Una colpa troppo grande da portarsi dietro, essere stata la responsabile della morte di un uomo che, immagino, lei amava.
Quando Ivano Marescotti mi spiegava che cosa non funzionava dopo avere mostrato la mia interpretazione durante le prove, si parlava anche molto di che cosa provasse lei.
Non solo il senso di colpa, ma anche la rabbia verso se stessa e verso di lui.
Blanche ha detto quella frase d'un botto, inaspettatamente.
Forse lei pensava sarebbe stato meglio se l'avesse detto al momento in cui ha scoperto entrambi a letto.
Ho immaginato anche la rabbia verso di lui. Se lui avesse detto: "Sì, è vero.", nonostante lei sapesse già, immagino, e così anche Marescotti, che lei l'avrebbe amato ancora, anche se stavolta platonicamente. Ma lui è scappato, non confrontandosi con lei.
Lui si sarà sentito braccato (non dimentichiamo che l'opera è ambientata negli anni 40 e nel testo originario, Blanche parlava di quando aveva 16 anni. Si può pensare all'incirca che il tutto sia accaduto negli anni 30), ormai scoperto e senza via d'uscita se non con la morte.
La città d'ambientazione è New Orleans e c'erano moltissimi bar clandestini dove le persone omosessuali si potevano incontrare con il pericolo che c'era qualche retata.
Tutto questo nel mio monologo non viene raccontato, ma nel farlo ne tengo conto.

Che cosa ho provato durante lo spettacolo?
Durante la mia interpretazione e durante la filata prima, sentivo davvero la schiuma sugli occhi (per fortuna non mi bruciavano) e proprio nello spettacolo, potevo vedere, mentre parlavo, la schiuma che usciva dalla bocca come pulviscolo.
Poi quando roteavo su me stessa (questo proprio durante lo spettacolo), mi sono accorta di essermi persa. Guardai un attimo in basso esausta e mi trovai sbilanciata rispetto al tavolo che era il centro.
Poco prima che venisse il mio pezzo, io ero dietro alle quinte ad assistere e intanto concentravo in me ogni forza, affidandomi completamente al mio personaggio.
Sentivo che aveva le lacrime agli occhi, ma non avrebbe pianto.
Nel fare questo monologo non volevo affidarmi alle urla.
Non voglio che gli altri mi ricordino solo per la potenza della voce, delle urla come se fossero l'unica cosa degna di nota di me.
Inoltre in quel ruolo, in quel monologo, urlare per esempio ne "Ho visto! Ho visto tutto! Mi fai schifo!" o in "Allan! Allan! Il giovane Grey!" oppure ne "Si era infilato una rivoltella in bocca e sparato, tanto che il cranio gli era schizzato via!" era un modo stereotipato di esprimere un'emozione, uno shock e troppo collegato al momento in cui è successo.
E anche se io fossi stata in quel preciso attimo, se avessi fatto il personaggio quando ha trovato Allan morto, adesso avrei cercato altre maniere di esprimere quel dolore, quel senso di perdita.
Vedo molto l'attore come un funambolo, sempre in bilico e per quanto mi riguarda, sento di avere fatto dei passi in più.


Quando avrò tutto il materiale (le foto dei miei compagni di scena), realizzerò il post.


P.S.: All'inizio la mia idea era che lei tentava il suicidio, ma appena sentiva la lama, terrorizzata se ne rende conto e la allontana subito. Ma dopo una prova, Marescotti mi dice che no, il mio personaggio si suicidava e io pensai: "Okay!"

2 commenti:

  1. Brava! Secondo me soprattutto i gesti davanti allo specchio ti sono riusciti molto bene. Sono molto "quotidiani".

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    1. Grazie mille. Ho provato anche davanti allo specchio. Non tanto le parole, ma i gesti.

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Grazie per i commenti

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