Ivano Marescotti con Chiara Roncuzzi,
insegnante de Il Circolo degli Attori e in questo laboratorio assistente
Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte
Quinta parte
Sesta parte
Penultimo appuntamento questo di sabato 18 marzo e domenica 19.
La tensione si fa sentire.
Si faceva sentire anche prima, ma ci stiamo avvicinando sempre di più al giorno dello spettacolo (il 9 aprile a Cesenatico) e abbiamo l'8 ancora per reincontrarci e lavorarci.
Ma anche così non ci si dimentica di divertirci, di ridere assieme e sì, si è creata una bella complicità.
Indipendentemente dai nostri percorsi, da quello che desideriamo fare, si è creato un buon collante.
E' sempre un piacere poi vedere lo sbocciare di una persona. La si vede nel suo splendore, anche nella sua fragilità che sul palco può diventare una straordinaria bellezza.
Buttarsi, spingersi un po' più in là, non accontentarsi dei passi fatti, ma sapere che si può andare avanti.
E' importante che tra le persone di un corso nasca fiducia.
Anche la persona più talentuosa si rivela debole se non prova fiducia nei suoi compagni, se pensa che gli altri siano lì per rubare il suo posto, per togliergli la luce del palcoscenico.
Alla lunga, quella persona si spegne. Non è capace di andare avanti.
Dopo questa premessa, vi parlo delle due giornate.
Sabato si parte con gli esercizi come accade da qualche incontro e vengono tenuti non da Cristiano Caldironi, direttore artistico de Il Circolo degli Attori, come per le altre volte ma da Chiara Roncuzzi.
Ci siamo focalizzati sul nostro personaggio da interpretare.
Abbiamo fatto l'esercizio della camminata (sempre tenere a mente che bisogna coprire ogni spazio come se fossimo su una zattera in bilico), prima in maniera neutra e poi come il personaggio.
Come cammina? Come guarda gli altri?
Non era necessario pensare direttamente alla scena che faremo. Anzi, era chiesto che fosse una giornata normale. Non dovevamo riportare la scena ma solo il personaggio, prenderlo e metterlo in una situazione banale come camminare.
Ma anche in questa banalità, il personaggio, tutto ciò che lo costituisce rimane lì presente.
Poi succede un fatto, una degli allievi sviene. Anzi, il suo personaggio sviene.
Da una situazione banale, si passa a una di emergenza.
Come reagisce il personaggio? Che cosa viene fuori?
Si dimostra collaborativo? Rigido? Va in preda al panico?
Da qui passiamo all'esercizio della macchina.
Ovvero ognuno, uno dopo l'altro, rappresenta un ingranaggio di una macchina e dovrà eseguire un movimento semplicissimo accompagnandolo con un suono.
E' importante che il gesto sia pulito e che abbia il suo ritmo.
Questo era un esercizio che avevo già fatto e non solo al Circolo degli Attori ma come succede per tutti gli esercizi, è necessario ricrearlo ogni volta.
La novità per me è stata che Chiara Roncuzzi ci dava delle indicazioni dopo che tutti hanno composto la macchina.
Fatelo con voce rabbiosa e noi veloci. Fatelo sottovoce e noi al rallentatore.
Ma lei, come poi ci ha detto, ci ha chiesto di modificare la voce, non il ritmo.
E' un errore comune pensare che con la voce rabbiosa, la velocità aumenti e quando si parla sussurrato, anche il corpo assecondi.
Più che altro è un automatismo e qui veniva chiesto di astrarre la voce dal corpo.
Quando si recita, è importante esplorare ogni possibilità e non andare subito a ciò che è scontato.
Un'allieva del corso propone un esercizio fatto al Circolo ovvero salire su un autobus col proprio personaggio e chi è già su prende il personaggio, il suo modo di parlare, come si muove.
Anche qui è importante non replicare la scena che faremo, ma portare il personaggio.
Si passa a vedere le scene.
mentre si guarda
Le scene vengono montate e rimontate.
A volte si vede la scena per intero e poi interviene Ivano Marescotti. A volte interrompe la scena e pone subito la modifica.
Si chiede subito quanto dura la scena, si pensa a quanto serve per prepararla.
Si pensa alla loro successione nella scaletta.
In alcune viene richiesta la nostra presenza per poter aiutare, per renderla vera.
Non si va solo per fare la scena, ma per crearla così come è necessario lasciare che il personaggio si presenti allo spettatore e questo lo può fare attraverso il movimento perché ovviamente non può dire "Io sono... mi trovo... prima ero... sto facendo... perché..."
Per questo Ivano Marescotti ci ha parlato di due esempi dove le attrici Anna Magnani e Ingrid Bergman interpretano lo stesso monologo ovvero La voce umana scritto da Jean Cocteau nel 1930.
Si tratta di una donna disperata al telefono ma ancora prima del suo monologo, ci viene presentato il personaggio coi suoi gesti, l'ambiente dove si trova, la relazione con esso e con gli oggetti.
tratto da L'amore di Roberto Rossellini del 1948
composto da La voce umana e da un altro episodio intitolato Il miracolo, sempre con Anna Magnani
per la televisione diretto da Ted Kotcheff, 1966
Non si va sul palco per replicare le battute per re-citare.
Si va sul palco per far vivere il testo, il personaggio, tutto quello che ci circonda.
E' necessario creare, ricreare le sensazioni.
Per esempio lo specchio. Se non è possibile avere uno specchio, basta averne uno invisibile, no?
Ma qual è lo sguardo mentre si specchia?
Non è uno sguardo lontano.
Che cosa si guarda mentre ci si specchia?
Che cosa si aspetta di vedersi?
Ma anche quando lo si ha, bisogna comunque ricreare quelle sensazioni, pensare a come arrivano allo spettatore.
E questo è valido per ogni oggetto, per ogni situazione.
Ma anche quando lo si ha, bisogna comunque ricreare quelle sensazioni, pensare a come arrivano allo spettatore.
E questo è valido per ogni oggetto, per ogni situazione.
Inoltre l'urlo.
In alcune scene si è sentito urlare.
E' sempre qualcosa che stupisce, che scuote, che fa chiedere "Cosa è successo?" ma non lo si può fare all'improvviso, come se fosse nato dal nulla.
Un urlo è soprattutto interno e non solo perché nasce da un'esigenza interiore, ma perché prima di scaturire, deve crescere, maturare, come se ribollisse.
Si cerca di trattenerlo, di respingerlo e poi alla fine non si riesce più a resistere.
Questo ovviamente non vuol dire prepararlo come se intanto si stesse dicendo: "Attenzione che sto per urlare."
L'urlo sarà qualcosa di sconvolgente ma se lo si lascia maturare, lo spettatore non si chiederà: "Per caso ho perso qualche passaggio?"
Lo spettatore chiede di essere sconvolto, di essere modificato da come era prima.
Paga un biglietto per ciò.
Magari ad alcuni spettatori non piacerà essere sorpreso, sconvolto (penso a questo per esempio quando ci sono lamentele sul fatto che un testo, anche classico, sia stato modificato senza pensare se i cambiamenti siano pertinenti) però noi (inteso chi desidera fare teatro) dobbiamo pensare a quello spettatore che ama ciò, che non ha paura. Magari un po' sì perché richiede un coraggio rivedere le proprie credenze, vedere altre situazioni di vita.
Anche per questo noi (non solo noi che facciamo questo laboratorio) dobbiamo impegnarci al massimo, prendere la mano dello spettatore e portarlo dentro al palco mentre lui è sul suo sedile.
E questo possiamo farlo giocando, come i bambini, stupendoci noi stessi di quello che stiamo per fare.
Quando Ivano Marescotti ha parlato dello stupore, io ho subito ricordato il video che vi presento qua sotto e che amo guardare.
Ed è con questo video che vi saluto.
Post breve questa volta ma non credo ci sia molto altro da aggiungere.
Il prossimo sarà quello definitivo dove parlerò dello spettacolo e io mi sento come quella bambina.
Non ho paura, sono eccitatissima così come ogni volta che so di stare andando sul palco.
A presto, allora.
Ottava parte (il mio monologo)
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per i commenti