martedì 2 settembre 2014

Quando le immagini valgono mille parole. Quelle sbagliate

Si dice appunto che un'immagine valga mille parole. Ma siamo sicuri che siano quelle giuste? E soprattutto, quanto ci lasciamo condizionare?



Guardate attentamente questa foto





Immagino l'abbiate già vista da qualche parte.
Scattata nel 1993 da Kevin Carter, l'anno dopo vinse il Pulitzer della fotografia.
Da foto di denuncia (la carestia e la malnutrizione) divenne la foto della vergogna per il suo autore.
Il fotografo fu percepito peggio dell'avvoltoio raffigurato.
Che fine ha fatto il bambino? E' morto e l'avvoltoio si è cibato del suo cadavere?
Non poteva il fotografo salvarlo che fare il suo lavoro?
Davvero per lui la vincita di un premio così importante vale molto di più della vita di un bambino?
Le accuse erano davvero infamanti da portarlo alla depressione fino al suicidio il 27 luglio 1994.
Ma qual è la verità dietro tale foto?
Purtroppo tutto ciò che era stato pensato si rivelò falso.
Dico purtroppo perché il fotografo fu trattato alla stregua di assassino.
Uno potrebbe pensare dopo che, essendo nel giusto, non doveva aver dubbi di sé.
Immagino sia molto difficile vivere con queste accuse sulle spalle e inoltre non credo che i più lo avrebbero ascoltato e se succedeva, avrebbero preso le sue frasi come semplici scusanti.
Ai loro occhi lui non sarebbe cambiato.
Alla fine la verità è venuta fuori.
In realtà il bambino si era un attimo allontanato da un centro missione dell'Onu (al polso vediamo una fascia che davano ai bambini per distinguere quelli che avevano una maggior urgenza di alimentazione e non si è accasciato perché "...rassegnato al suo destino..." come si diceva.
Come si sa questo?
Kevin non era solo quel giorno.
Il bambino non muore e l'avvoltoio non si è cibato del suo cadavere, ma questo la fotografia non dice.
Una cosa che non si bada molto è nei dettagli per esempio quella fascia al polso poteva incuriosire e invece pochissimi hanno davvero esaminato la foto.
Dico questo anche perché vedo come le bufale stanno riempiendo le nostre teste.
Di primo sguardo potremmo pensare appunto che il bambino muore dopo che la foto fu scattata.
E inoltre, mai come in foto del genere sia utile la mente fredda, ragionare lucidamente.
Questo post è un omaggio a questo fotografo che voleva denunciare un'ingiustizia e fu trattato ingiustamente.




Altri post che parlano di questa foto: qui e qui


P.S.: Segnalo che tutta la storia di lui e del suo gruppo di fotografi ovvero Greg Marinovich, Joao Silva e Ken Oosterbroek (lo stesso Ken citato nell'ultima lettera di Kevin scritta prima di morire) in Africa è rappresentata in questo film. Taylor Kitsch è Kevin Carter.


6 commenti:

  1. Spero di non offendere la sensibilità di qualcuno, ma secondo me uno che scatta una foto così il suicidio ce l'ha nel dna.

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  2. @ Marco Grande Arbitro Giorgio: mi fa piacere perché sono riuscita ad arrivarti visto il tema non facile.

    @ Ivano Landi: Beh, tieni conto che lui era un fotoreporter di guerra. Ne conosco uno che per un po' di tempo l'ha fatto e ha detto che è essenziale essere distaccati il giusto (un po' come per chi fa il medico). Credo che lo sentano molto come una missione. Sanno che è pericoloso, ma sentono di doverlo fare. Nella lettera di addio (che si può trovare nei link messi) ha anche raccontato di essere tormentato da queste immagini. Diciamo che l'essere caduto in depressione per la morte del suo amico e le accuse che gli sono state fatte non l'hanno certo aiutato.

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  3. Rimango sempre più stupita dalla superficialità della gente. Okay, l'ipotesi formulata poteva anche essere verosimile... ma "verosimile" non è sinonimo di "vera". E una "ipotesi", per definizione, è del tutto aleatoria fino a che non sia stata concretamente dimostrata come rispondente alla realtà dei fatti.
    Certo è che su questa foto è stato costruito un castello di carte che faceva molta più scena della ben più semplice verità, dunque è ovvio che una menzogna che suscitasse tanto clamore mediatico sia stata lasciata a ristagnare come tale, senza alcun interesse a tirar fuori la verità, che sarebbe stata molto meno appariscente ed avrebbe abbassato il polverone.
    Mi chiedo solo se il fotografo abbia provato seriamente a spiegare come stessero realmente le cose: il braccialetto bianco è un dato di fatto, e se avesse spiegato a cosa serviva chiunque avrebbe potuto verificare la verità, e le sue parole non sarebbero più parse una scusante.
    E poi, chi glielo dice alla gente che lo ha ingiustamente accusato, che il fotografo non abbia prima scattato, e poi sia corso ad aiutare il piccolo?

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  4. Cara Veggie, capisco il tuo sconcerto. Purtroppo questa è una storia che ho saputo solo di molto recente.
    Questa storia poi mi fa pensare molto al "Sbatti il mostro in prima pagina" prima che la sua colpevolezza sia accertata.
    Basta vedere anche negli esempi più recenti.
    C'è bisogno di un "mostro" di cui incolpare per far sì che la società poi stia bene ed è una cosa davvero mostruosa.

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  5. @ AlmaCattleya - Purtroppo credo proprio che tu abbia ragione... Ed è incredibile. Incredibile come la gente abbia bisogno di tacciare qualcun altro di cattiveria, per potersi sentire a sua volta buona.

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Grazie per i commenti

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