Strana professione quella dell'arte. Ti colpisce, ti prende e se l'assecondi, ti rivoluziona la tua vita e il tuo modo di vedere le cose.
Di solito quando uno va a lavorare, poi quando torna a casa stacca completamente dal lavoro. Invece un artista, pur avendo diritto alla stessa vita privata, no. Un artista non si può "permettere" di staccare come fanno gli altri lavoratori. Anzi a volte stacca però poi scatta qualcosa che lo fa subito ritornare al suo lavoro. E' come una girandola continua nella sua mente. Qualunque cosa gli fa ricordare, lo fa ispirare in qualsiasi luogo.
E così nei confronti di se stesso, come si deve porre?
A questa domanda vi lascio con ciò che affermava il poeta Arthur Rimbaud, uno dei miei "maestri".
Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in lui tutti i veleni per non conservare che la quintessenza. Ineffabile tortura dove egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovraumana, dove egli diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il supremo Sapiente! – Poiché è arrivato all'ignoto! Dopo aver coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro! Egli arriva all'ignoto, e quando, impazzito, finirà per perdere l'intelligenza delle sue visioni, le ha pur viste! Che crepi nel suo salto verso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l'altro si è accasciato!
Lui parla di Poeta, ma credo che questo suo pensiero, tratto da Lettera del Veggente, può combaciare con tutte le altre forme d'arte.
E nei confronti degli altri come si deve porre?
Rimbaud cercava inoltre di creare una nuova lingua, una lingua che in essa potesse esprimere tutto. <<...Questa lingua sarà dell'anima per l'anima, riassumerà tutto: profumi, suoni, colori; pensiero che uncina il pensiero e che tira.>> (Lettera del Veggente in Opere)
Credo che questo pensiero si può spiegare meglio nella poesia Vocali.
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
Io dirò un giorno le vostre origini segrete:
A, nero corsetto villoso delle mosche lucenti
Che ronzano intorno a fetori crudeli,
Golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende,
Lance di fieri ghiacciai, re bianchi, brividi di umbelle;
I, porpore, sangue sputato, riso di belle labbra
Nella collera o nelle ebbrezza penitenti;
U, cicli, vibrazioni divine di mari verdi,
Pace dei pascoli seminati di animali, pace delle rughe
Che l'alchimia scava nelle ampie fronti studiose.
O, suprema Tuba piena di stridori strani,
Silenzi attraversati dai Mondi e dagli Angeli:
O l'Omega, raggio violetto dei Suoi Occhi.
Il più delle volte chi guarda o sente un'opera se ne chiede il senso. Ma come si può chiedere il senso? Cercare di capire il senso di un'opera è cercare di intrappolare l'opera secondo uno standard prefissato. Piuttosto bisogna chiedersi: quest'opera cosa mi dà? Che cosa mi dice? Dove mi trasporta? Che cosa mi rimarrà?
Un'opera è un'esperienza extrasensoriale e a volte ti rende veggente. La veggenza dell'opera ti prende, ti colpisce e se l'assecondi, rivoluziona la tua vita e il tuo modo di vedere le cose.
O no?