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lunedì 26 novembre 2012

Pantani



Pantani.
Non serve altro. Basta il suo nome per riecheggiare anni di splendore assoluto e di caduta inarrestabile. Basta il suo nome per riecheggiare ferite di un uomo non ancora emarginate neanche dopo la sua morte.
Lo vedete in questa foto. Lui, dietro la ruota di una bici con i raggi che lo frammentano come se la sua immagine venisse trasmessa attraverso un vetro rotto.
Con Pantani l'Italia di quegli ultimi anni del 1900 si è appassionata a questo romagnolo mingherlino con le orecchie a sventola, a lui che scalava come se niente fosse, che sentiva la strada come se respirasse, a lui che era un violinista della bicicletta, il suo Stradivari.
Pantani viene dalla Romagna, è uno dei suoi figli. In lui c'era la Romagna, non quella di adesso però bensì quella Romagna arcaica, quella terra che sa di terra.
Lui era un romagnolaccio, il bambino vecchio come è stato chiamato da Gianni Mura, ma non nel senso di un bambino invecchiato prima del solito bensì di un bambino che aveva tanti anni.
Ed è a lui che è dedicato in tutto e per tutto l'ultimo spettacolo della compagnia ravennate, il Teatro delle Albe con un titolo che non lascia incertezze ovvero Pantani perché non serve altro così come non c'è un attore che lo impersona. A che servirebbe? Cosa aggiungerebbe? Marco Pantani è il protagonista che non compare come qualcosa di fisico, ma è lì attraverso le parole, le foto e le immagini video.



Appena si entra vediamo subito su uno schermo immagini di Pantani in bicicletta. Assistiamo a questi momenti quando compare lei Ermanna Montanari vestita con maglia e gonna rosse. Ha i capelli legati e la sua figura sembra composta eppure la sua presenza è in qualche modo minacciosa: lei interpreta Tonina Pantani, la madre di Marco mentre Luigi Dadina interpreta Paolo Pantani, il padre.
Solo Tonina è tinta di sanguigno mentre la poltrona che padroneggia il palco e gli abiti del padre sono di colore terroso quasi a voler riecheggiare la terra della Romagna.


i veri genitori


Luigi Dadina e Ermanna Montanari
(foto di Claire Pasquier presa da qui)


I due attori sono tra i co-fondatori della compagnia (gli altri sono Marco Martinelli, regista e drammaturgo, e Marcella Nonni, direttrice organizzativa di Ravenna Teatro) e qui portano alla luce una storia non archiviata perché quello che viene raccontato qui è la lotta continua della ricerca della verità sulla morte di Pantani che i suoi genitori portano avanti dal 2004 ovvero da quando Marco è deceduto in quel residence di Rimini il giorno di San Valentino.
Come loro compagno in questo spettacolo, che potrebbe quasi rappresentare un processo, c'è L'Inquieto (interpretato da Francesco Mormino) ispirato alla figura del giornalista Philippe Brunel autore de Gli ultimi giorni di Marco Pantani (ed.Rizzoli).
Gli attori giovani della compagnia (Alessandro Argnani, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Laura Redaelli) più due comparsate compongono il quadro finale per raccontare una storia che non parla solo di Pantani, ma anche del meccanismo dei mass-media, del "sbatti il mostro in prima pagina" anche se uno viene assolto, del clamore e delle chiacchiere da bar.
Come dice L'Inquieto, i sacrifici umani non sono solamente un retaggio del passato. Anche in questi anni "civili" si effettua ancora la pratica di inseguire il capro espiatorio per sentirsi puliti.
Ma lo spettacolo non è solo questo perché ci viene raccontata la storia di Marco Pantani, dall'inizio, da quando era un bambino e faceva le sue prime scorribande in bicicletta sfidando persone più grandi di lui. Già da ragazzino si capì la sua voglia di perfezione come un liutaio che cerca di costruire un violino dall'armonia perfetta.
Ci sono foto di lui che appartengono ad un album di famiglia e così noi spettatori, additati all'inizio come colpevoli da Tonina Pantani e poi rassicurata da suo marito dicendo che sono venuti apposta ad ascoltare, diventiamo dei testimoni quindi per chi assiste è quasi impossibile non provare empatia per quei genitori che desiderano sapere la verità e come lo si prova per gli attori automaticamente le emozioni si dirigono a quelli veri.
Si ripercorrono le sue vittorie, ma anche le sue sconfitte. Si cerca di far capire alla maggioranza dei spettatori, profana sul ciclismo, cosa sia questo mondo. Niente va tralasciato neanche i nomi che vengono detti chiaro e tondo, nomi che suggellano telefonate nascoste, macchinazioni non ancora comprese perché il caso Pantani, se così vogliamo chiamarlo, non è chiuso anche se lo vogliono far sembrare in questa maniera e certe rivelazioni che avrebbero potuto dargli pace, almeno dopo la sua morte, come il fatto che il midollo osseo era intatto (e se si sottoponeva veramente all'Epo ciò non avveniva) non hanno avuto il loro spazio.
Vengono raccontati anche i suoi ultimi dove lui, ormai solo senza più la bici, trova il sollievo con la "sostanza".
Lo spettacolo è suddiviso in due tempi e in totale dura 3 ore e 20 minuti compreso l'intervallo, ma quello che può sembrare come un'eternità alla fine scivola via come un soffio perché lo spettacolo riesce a combinare la tragedia con momenti di spirito, l'inchiesta giornalistica con l'emozione.
Insomma posso dire che solo dei romagnoli potevano raccontare la storia di Pantani senza farla passare per un racconto privo di personalità che il rischio è quello di scadere ovviamente nel banale e invece inserisce anche canti romagnoli raccontando poi l'Italia intera poiché da quel fatidico 1994 non siamo usciti, da quell'anno nel quale è stato effettuato quel "colpo grosso" dove ormai non c'è più bisogno di sognare: i sogni li si comprano adesso.
Dei romagnoli cercano di restituire la dignità di Marco Pantani agli italiani continuando così quella lotta che per i suoi genitori è una missione e alla fine con quella ruota di Duchamp e le immagini video, l'unico acceso da Tonina che prima non li guardava e li spegneva, di un Pantani sorridente davanti al suo mare di Cesenatico, a noi spettatori rimane qualcosa e credo che quelli che anni prima lo inneggiavano per poi dargli del Traditore! del Dopato! verranno toccati dal vivo da questo spettacolo e a me, piano piano, prendeva spazio che anche la cantante Mia Martini ha bisogno di questa giustizia.


foto di Luca Fagioli


E Pantani va ricordato quando era sulla bicicletta perché la strada era il suo palcoscenico. Ti poteva incantare anche se non avevi mai seguito il ciclismo, ti ammaliava per quella mancanza di calcolo che all'inizio ti sembrava pazzia, per quella passione che sprigionava e sapevi, come succede allo spettatore con l'attore, di poter condividere tutto con lui persino il respiro anche se nel caso di Pantani era filtrato dallo schermo televisivo. Ma non importava perché Pantani era di carne e lo si sentiva fino in fondo.







Pantani.



Qui il calendario dello spettacolo


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