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domenica 26 giugno 2011

Venere nera (film)

Ci sono film che ti chiedono una bella dose di coraggio per guardarli perché possono essere insostenibili. Sono film che nell'arco della loro durata ti fanno pensare di voler lasciare il posto eppure no, perché quei film anche se insopportabili vanno visti. Questo perché raccontano una storia che deve essere tramandata, una storia vera e drammatica.
E' questo il caso di Venere nera, film del regista tunisino Abdel Kechiche, già autore dell'acclamato film Cous Cous.





La Venere nera è una donna ottentotta, ovvero Africani della zona sud-occidentale che nel primo decennio del 1800 si esibì in un freak-show. Il suo nome è Saartjie (pronuncia Sahr-ki) Baartman, nome che le è stato dato da una famiglia di Boeri di Città del Capo dopo che i suoi genitori furono uccisi da un raid sudafricano. Venne poi battezzata Sarah poiché il suo nome originale è la versione Afrikaans di "piccola Sara". La sua statura era di solo 1,35 metri
(fonte:Wikipedia)
Portata poi a Londra da quella famiglia, convinta di esibirsi per il mondo dello spettacolo, venne invece sfruttata per il suo carattere esotico e soprattutto per le caratteristiche che contraddistinguono le Ottentotte o Khoi (Ottentotte deriva dall'olandese e significa "balbuziente"): natiche prominenti e le piccole labbra che sporgono dalla vagina formando quello che viene chiamato il grembiule ottentotto.


Dopo Londra. toccò a Parigi che fu la città che più si interessò a queste sue "doti" naturali cercando di toccare non solo il fondoschiena come succedeva a Londra, ma anche ai suoi genitali contro il volere di Saartjie suscitando l'interesse di alcuni anatomisti, in particolare Georges Cuvier, che vollero vedere il "grembiule", ma lei non volle e così venne abbandonata dal suo padrone.


visita anatomica: misurazione della testa


Saartije divenne una prostituta, aumentò con il bere e morì per un'infezione (forse vaiolo o sifilide) nel 1815  soli 25 anni e solo allora gli anatomisti si presero i suoi genitali, il cervello per esporli nel Musée de l'Homme, un museo etnografico, di Parigi.
Dopo varie richieste da parte del Sudafrica di riavere i suoi resti per seppellirli, solamente nel 2002 la richiesta venne esaudita e proprio alla fine del film si può vedere un filmato che mostra il rientro a casa di Saartije.

Nel film si nota una certa insistenza nel fissare il viso con le sue espressioni molteplici soprattutto quelle dei signori e signore che assistono all'esibizione di Saartije. E' la stessa eccitazione del pubblico delle arene, quello che incita il toro o al malcapitato di turno di combattere, di mostrarsi selvaggio più che mai, furente e rabbioso. E' lo stesso pubblico che chiede il sangue e và in visibilio alla sua vista.
C'è poca musica nel film, tranne quella dell'ambiente con i suoi rumori e schiamazzi. Non c'è della musica necessaria per sottolineare alcuni momenti topici, non serve.
La lunghezza del film può sembrare eccessiva (2 ore e 40 minuti) e ci sono alcuni momenti soprattutto quelli ambientati a Parigi che sembrano durare un'eternità: niente viene risparmiato neanche la visione di coloro che toccano le sue parti intime.
Ogni attore si "sposa" bene con la sua parte e in particolar modo l'attrice protagonista, Yahima Torres, non professionista, che colpisce con il suo sguardo spento a volte scosso da pianto o da rabbia.







disegni, locandina e caricature d'epoca

Si possono trovare tanti significati in questo film: il tentativo dell'uomo "civilizzato" di soggiogare qualcosa o qualcuno che rappresenta qualcosa di selvaggio (Saartije negli spettacoli usciva da una gabbia, il padrone aveva la frusta e la incatenava), l'attrazione per l'esotismo (negli spettacoli si diceva che era una principessa selvaggia e mordeva, attaccava chiunque), la curiosità morbosa per ciò che è anormale (freak appunto), ma soprattutto il disprezzo celato da un senso di superiorità: prima i suoi padroni che affermavano che Saartije non era una schiava, che era un'artista e aveva pure la paga per poi abbandonarla quando lei si ribellava così come succede con gli anatomisti che vedevano in lei "qualcosa" di più vicino agli oranghi che agli uomini per via della forma del cranio, della mandibola e per altre cose.
L'origine della specie di Darwin non aveva fatto ancora la sua comparsa.



Eppure quella donna era diversa davvero: assomigliava a una Venere paleolitica, poteva sembrare la Grande Madre, simbolo di vita e fertilità, in carne eppure non hanno visto nelle sue danze tribali qualcosa di sacro. O meglio l'hanno visto, ma lo volevano tutto per sé per poi sfruttarlo.

 la Venere paleolitica più famosa, quella di Willendorf


L'uomo civile non è cambiato così tanto.


All'uscita del film i pochi spettatori, me compresa, se ne sono andati in ligio e doveroso silenzio. Almeno questo glielo dobbiamo.


In suo onore è stato fondato un centro per donne e bambine. Cliccate qui

7 commenti:

  1. davvero una storia interessante che non conoscevo.. certo un po' dura da digerire, cercherò il film

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  2. E' vero, ci sono film che in un certo senso sfidano lo spettatore a superare le proprie intime "barriere" per guardarli, e non sempre è facile arrivare in fondo alla visione. Però in molti casi ripagano dello sforzo fatto su noi stessi per superare l'impatto dello "sgradevole". Ad esempio, rientrano in questo schema alcuni film di Polanski, a me cari, come "Repulsion" o "Le locataire". O Peter Brook, dal "Signore delle mosche" (il primo!) in poi. O ancora David Lynch: non a caso qui è d'obbligo il richiamo a "The Elephant Man", che costituì già a suo tempo il superamento di una barriera.
    Lo squarcio su un certo nostro passato di "europei civili", che il film di cui parli schiude, è importante quanto imbarazzante. Se si pensa che ancora pochi decenni fa, certi popoli erano considerati "razze inferiori", e se per giunta si pensa che il corpo delle donne ancora oggi è oggetto di mercati vari... Forse è per questa opacità che ci portiamo nel profondo, che film come questi - nelle intenzioni di chi li realizza - non possono limitarsi a raccontare un aneddoto (perché non è quello il punto) e quindi non possono utilizzare i consueti stereotipi della narrazione cinematografica, ma devono sperimentare strade nuove, difficili.

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  3. @ Passiflora: Il film merita la visione però devi essere pronta.

    @ ivaneuscar: non ho paura dei film "sgradevoli". Anzi apprezzo molto i film che smantellano le barriere, i film cosidetti scomodi. Spesso è lì che si trova la vera bellezza.

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  4. Tra i miei film "sgradevoli" che ancora non sono riuscita a vedere, se non a pezzi, c'è "Il Pianista" e "Schindler's list"...i film che parlano della seconda guerra mondiale e dello sterminio degli ebrei perpetrato all'epoca non riesco proprio a vederli :-( !!

    B.

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  5. Mi piacerebbe molto vedere questo film e anche io ho pensato subito ad Elephant Man, un film che mi spezza il cuore ogni volta che lo vedo...
    L'unica cosa che potrebbe frenarmi un po' è il regista: ho detestato letteralmente Cous cous per la sua lentezza snervante!

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  6. @ bunny: Credo sia molto importante non ignorare quelle storie, sapere che esistono. Poi se vuoi guardare quei film, spetta soltanto a te.

    @ BaiLing: Ti avverto allora che il film è lento, alcune scene possono sembrare troppo insostenibili e il film dura due ore e quaranta minuti circa.

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  7. Interessante il recupero che hai fatto delle miniature dell'epoca, anche se a me il film non è parso per nulla lento! ;)

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Grazie per i commenti