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mercoledì 1 dicembre 2010

Omaggio a Jan Svankmajer e alla sua poetica

«Il mondo si divide in due categorie di diversa ampiezza... quelli che non hanno mai sentito parlare di Jan Švankmajer e quelli che hanno visto i suoi lavori e sanno di essersi trovati faccia a faccia con un genio. »

(Anthony Lane - "The New Yorker")



La prima volta che ho visto qualcosa del regista ceco Jan Svankmajer, e che soprattutto ho sentito il suo nome, è stata grazie ad un (speciale) utente di Youtube. Stavamo discutendo sul fatto che il film Alice in Wonderland di Tim Burton fosse stata per me, e non solo, una delusione totale.
Allora lui mi manda un messaggio la cui fine è questa: Secondo me, il film più originale e sorprendente mai girato su Alice nel Paese delle Meraviglie è 'Alice' di Jan Svankmajer. Non so se l'hai già visto, ma per me è la trasposizione cinematografica più originale mai fatta del capolavoro carrolliano. Qualche mese fa si poteva vedere integralmente su YouTube, ma poi ho visto che l'hanno tolta. Però sono rimasti dei pezzetti. Qui puoi vederne uno:




Spero che ti piaccia come è piaciuto a me.
Dimmi che ne pensi!

Beh, aveva perfettamente ragione!
Mi sono informata ancora di più sui suoi film e ho trovato un blog in cui includeva le sue recensioni.

Però non riuscì a vedere altri suoi film finché...

Una mia amica aveva un libro che parlava di lui e di sua moglie, Eva Svankmajerova, un catalogo a cura di Giuseppe Dierna della Mostra tenuta a Parma nel 2003-2004, ovvero Memoria dell'animazione - Animazione della memoria edizioni Mazzotta.
Non si tratta di un libro che parla dei suoi film, non solo, ma parla anche del suo lavoro e di cosa ne pensa.

Innanzitutto parla della nascita del surrealismo dei primi anni '30 nel territorio ceco partendo dal poeta Vitezslav Nezval, sostenitore del Poetismo ovvero (in corsivo le parole provengono dal libro) della poesia per i cinque sensi, un'arte leggera e sbarazzina, fantastica, giocosa, antieroica ed amabile che trasformasse la vita in un eccentrico carnevale, arlecchinata di sensazioni ed immagini, ebbra banda filmica, caleidoscopio prodigioso (citazione di Karel Teige, uno dei sostenitori del movimento artistico), non limitandosi quindi a porsi come puro indirizzo artistico, ma come vero e proprio stile di vita, come proposta di una nuova ricostruzione poetica dell'universo.
Segue poi una descrizione degli eventi che vennero dopo che non sto qui a scriverla.

L'interesse di Jan Svankmajer nel riuscire a dare vita alle cose inanimate inizia da quando era piccolo quando gli è stato regalato un teatro di burattini.

Com'è noto, i surrealisti hanno preso posizione contro l'arte. D'altro canto, però, ciò che di più notorio i surrealisti hanno creato e ancora creano sono proprio opere d'arte. (...)
In primo luogo dobbiamo sottolineare come ciò che ai surrealisti preme non è certo un rifiuto dell'arte in quanto tale, ma soprattutto un rifiuto di quello che è il principio costitutivo della maggior parte dell'arte contemporanea. I surrealisti non solo non rifiutano il significato originario dell'arte, ma - al contrario - lo adorano: e questo significato viene da Jan Svankmajer individuato proprio nella sua capacità di conservare la vita.
Cos'è che nell'arte contemporanea infastidisce Jan Svankmajer? Le sue riserve riguardano prima di tutto il fatto che essa non riesca in alcun modo a destare il suo interesse: "prendiamo, ad esempio, la noia razionale dell'arte figurativa di oggi che invade le gallerie più prestigiose e i musei di arte moderna e contemporanea. La maggior parte di questa arte non oltrepassa la soglia di quello che chiamerei il documento d'epoca."
riguardo all'arte cinematografica, su cui Jan Svankmajer si è maggiormente espresso pubblicamente, egli nota con molta concretezza come le specificità degli artisti cinematografici siano state, anche in questo ambito, "uniformate, hanno tutti indossato una comune uniforme... e del resto come potevano fare altrimenti, quando quella stessa uniforme la indossavano tutti: i creativi come i non creativi. Stesse automobili, stesso abbigliamento, stessi capelli, stesso MacDonald: perché, allora, non anche gli stessi film?". (Le due dichiarazioni di Svankmajer provengono da Diario inedito, 1999)
L'insignificanza del'arte contemporanea non sembra però essere per Jan Svankmajer l'unico movente di quella sua posizione. Se fosse realmente così, basterebbe forse un semplice movimento: un gesto di diniego con la mano. A Jan Svankmajer, però, non basta solo rifiutare quest'arte, ha anche bisogno di criticarla ferocemente. Per cosa? Per il suo regresso da un significato superiore di "conservazione della vita" a un ruolo ormai di puro "intrattenimento" Ed egli sottolinea come ciò non sia avvenuto per puro caso, ma in conseguenza del regolato e preciso sviluppo della moderna società consumistica, che ha stabilito per l'arte la sua direzione esclusiva e il suo senso, che è oggi semplicemente quello di "occupare il tempo libero dell'individuo, divertirlo affinché egli possa piacevolmente e senza preoccupazioni  occuparlo, prima di rientrare nuovamente nel processo di produzione."

Come dargli torto?

"L'arte, così come la intendevano e la intendono i popoli primitivi o il surrealismo, è condannata a essere relageata ai margini della società", afferma Jan Svankmajer constatando una feroce verità priva di qualsivoglia illusione. In tal modo egli non dichiara ovviamente alcuna intenzionale chiusura nei confronti del mondo; al contrario: mostre, pubblicazioni, film, pamphlet, sono per i surrealisti mezzi ben graditi nella loro "ricerca di collaboratori". Ma con questa comunicazione non è strettamente utilitaristica, così anche la loro produzione  (il suo presupposto) cerca le maniere per ripulire la percezione del mondo dalle consuetudini della civiltà. "Se (...) l'arte ha un qualche senso, allora è quello di rendere l'uomo più libero, è quello di liberarci (...) dalle abitudini addomesticanti che fin dall'infanzia ci vengono introiettate dall'educazione civilizzatrice.".
(...)
"Un tempo arte e magia erano fusi in uno. Nell'istante in cui l'arte si è estetizzata divenendo autonoma, scorse sotto di sé il ramo su cui sedeva. La magia fornisce all'arte la sua quarta dimensione: il mistero."
(...)
"L'arte che abbiamo in mente (include anche sua moglie) è (...) il tentativo di restituire a un'attività apparentemente utilitaristica la sua dimensione magica, restituire legalità all'irrazionale."

Le ultime due dichiarazioni provengono da La magia degli oggetti.
Della magia ne parla anche riguardo all'alchimia:

Non riesco a immaginare una creazione mistica che non abbia una dimensione magica. O meglio: ci riesco, ma allora non mi interessa nella maniera più assoluta. La magia è qualcosa come una "relazione attiva nei confronti della vita" (Parole sante!). Il problema non è di controllare tale reazione, ma di mutarla. La metamorfosi è infatti il fondamento di qualsivoglia operazione magica. E una creazione appartiene al novero di siffatte operazioni magiche. Almeno la creazione per immagini. Un tempo arte e magia erano fusi in uno, componente inalienabile di quei rituali attraverso cui l'uomo pre-civilizzato cercava di conquistarsi il favore della natura (degli elementi, degli spiriti dei avi, dei demoni). Solo in seguito l'arte comincia ad allontanarsi dalla magia e assume funzioni diverse: iconografiche, estetiche, rappresentative ecc... per poi finire al servizio delle ideologie dei regimi totalitari o per assumere il misero ruolo di merce prodotta per il mercato dell'arte. Il surrealismo ha sempre cercato di restituire all'arte quella sua "magica dignità". Ed è proprio questo ciò che maggiormente m'interessa nel surrealismo (Anche a me dire la verità).
Nella mia opera, così come facevano gli antichi alchimisti, io distillo senza sosta l'acqua delle mie esperienze d'infanzia, delle mie ossessioni, delle mie angosce perché così nasca l'"acqua pesante" della conoscenza, necessaria per la trasmutazione della vita.
Così come il surrealismo è un'alternativa per l'arte, allo stesso modo l'alchimia è scienza alternativa. Tra surrealismo e alchimia vi è un rapporto analogico.

Nel libro sono presenti anche alcuni suoi disegni e dipinti di sua moglie.
E adesso passiamo direttamente al suo cinema.
I suoi film non sono catalogabili e sono piuttosto ambigui: confondono.

Qualcosa da Alice, 1987


Il significato del mio film "Qualcosa da Alice" è apparentemente molto semplice: porre nuovamente l'accento del sogno che l'attuale civiltà ha preso a trascurare, che la società ha gettato negli immondezzai della nostra psiche. Non casualmente l'ultimo fondamentale lavoro scientifico dedicato al sogno, "L'interpretazione dei sogni" di Freud, ha ormai più o meno un centinaio di anni! Eppure sogno e realtà sono "vasi comunicanti" (A. Breton) della nostra vita. Alla fine del Settecento G. H. Lichtenberg aveva scritto: "Ancora una volta raccomando i sogni! Nel sogno viviamo e percepiamo le cose come durante la veglia ed entrambe sono componenti dell'esistenza. Tra i vantaggi dell'uomo c'è il fatto che sogna e ne è consapevole. Poche volte se ne è fino ad oggi indebitatamente approfittato. Il sogno è una vita che, aggiunta alla nostra altra vita, crea quello che noi definiamo l'esistenza umana. I sogni lentamente scompaiono nella nostra veglia e non si può dire dove questa cominci e loro cessino."
Abbiamo dimenticato questa raccomandazione di Lichtenberg e ne paghiamo a caro prezzo le conseguenze. Il sogno, questa fonte naturale dell'immaginazione, viene sistematicamente sepolto e nello spazio rimasto vuoto si fa largo l'assurdo, prodotto in grande (come "produzione laterale") dai nostri "sistemi razionali e scientifici". Fino a che la sera, prima di andare a dormire, non prenderemo nuovamente a narrarci favole e racconti del terrore, e al mattino al risveglio i nostri sogni, dalla nostra attuale civiltà non ci si potrà aspettare più nulla di buono.


Lezione Faust, 1994


(...)
Quando sente l'avvicinarsi di ogni fine, ogni civiltà fa ritorno ai propri inizi e cerca di capire se i suoi miti fondanti non contengano una nuova possibilità di interpretazione, capace di fornire nuovo impulso e allontanare quindi l'immanente catastrofe.
Il mito di Faust è uno dei miti chiave di questa civiltà. Le sue interpretazioni sono innumerevoli. Lezione Faust, questo il titolo che voglio dare al mio film, dovrebbe essere uno di questi ritorni interpretativi.
"Lezione Faust" è, a mio avviso, una delle situazioni morfologiche (archetipiche) fondamentali, sia per quanto riguarda il singolo individuo (individualità), sia per quanto riguarda la sua collettività (civiltà). Ogni uomo viene a trovarsi prima o poi davanti al dilemma: o vivere la propria civiltà in maniera conformistica, con la nebulosa promessa di una felicità istituzionale, oppure ribellarsi e intraprendere un percorso anticivilizzatorio senza riguardo alcuno per le conseguenze. Quest'ultimo percorso termina ogni volta con la sconfitta dell'individuo, il primo - invece - con la sconfitta dell'umanità nel suo insieme. Ma non è forse possibile che avvenga invece il contrario? Tale ambivalenza non cambia però ugualmente nulla nel carattere tragico del destino umano. "Lezione Faust" non sarà però un film a tesi, voglio invece - come già in Alice - dare libero corso alle "interpretazioni inconsce" avendo io molta più fiducia in una "guida interiore" che non in una forma e una struttura esterne. Nell'attuale epoca postmoderna una tale fede romantica potrà forse apparire anacronistica, ma qualcuno deve pur trasportarla attraverso quest'epoca neoclassicista, neoconservativa ed eclettica prima che si possa formare un nuovo romanticismo.


I cospiratori del piacere, 1996





Discorso tenuto alla prima

Signore e signori,
ci sono ancora molte persone, e questo anche nei circoli dei cosidetti specialisti, che confondono l'arte col frustino castigamatti.
Essi sono infatti convinti che l'arte debba educare, che la vera arte debba dunque migliorare l'individuo. Per questo una serie di artisti, per riuscire a soddisfare tale richiesta essenzialmente addomesticante, imbottisce i propri film di quello che nelle terre boeme viene familarmente definito "odore d'umanità". Posso però rassicurarvi che nel mio film non troverete nulla di simile. Se infatti l'arte ha un qualche senso, allora è quello di rendere l'uomo più libero, è quello di liberarci proprio da quelle abitudini addomesticanti che fin dall'infanzia ci vengono introiettate dall'educazione civilizzante. Come sappiamo con Sigmund Freud, l'educazione è strumento del principio di realtà, mentre l'arte è frutto del principio del piacere. E questi due principi si comportano l'un verso l'altro come cane e gatto, come acqua e fuoco, come repressione e libertà. Proprio di questo parla il film che tra un istante vedrete. A parte il fatto che si tratta del primo film erotico nel quale non vi siano scene di sesso, "I cospiratori del piacere" è soprattutto un film sulla libertà. Sulla libertà in senso assoluto così come intendeva ad esempio il divino marchese de Sade.
Il tema per la libertà, l'unico per cui valga la pena ancora di prendere in mano la penna, il pennello o la cinepresa, è in questo film sviluppato nella forma di un grottesco muto noir. Ritengo che l'umorismo nero e oggettivo, la mistificazione e il cinismo della fantasia siano mezzi più adeguati a rendere il carattere basso della nostra epoca che non il già menzionato, ipocrita, ma nei film cechi molto popolare, "odore d'umanità".


Little Otik (Otesanek), 2000





Chi è Otesanek oppure: cosa simboleggia la sua figura? E' questa la domanda fondamentale sul significato del film.
E' forse Otesanek la personificazione della natura che non ha inibizioni umanistiche ed è per noi l'amore, l'amico e l'assassino?
Oppure Otesanek è il nostro inconscio oscuro che ci domina, ma al tempo stesso ci distrugge e col quale riescono a comunicare solo i bambini e i folli?
Forse è entrambe le cose contemporaneamente. Di certo Otesanek rappresenta qualcosa che ci trascende, che non è gravato dalle limitazioni imposte dalla civiltà, qualcosa di primordiale (qualcosa di simile alla Prima Materia degli alchimisti) con cui, proprio a causa della nostra percezione corrotta e repressa dalla civiltà, non siamo capaci di intrattenere una comunicazione che abbia un qualche senso e che, pertanto, si trasforma per noi in una minaccia e in un pericolo. E' qualcosa di cui vorremmo volentieri liberarci o che vorremmo almeno controllare, ma è allo stesso tempo qualcosa a cui in certa misura teniamo giacché è anche opera nostra. Ed è appunto tale ambivalenza a risultare per noi nefasta. Otesanek è una precisa componente della nostra esistenza, una componente irrazionale che noi stessi coi nostri sensi abbiamo richiamato alla vita, ma che, allo stesso tempo, organizzando la nostra esistenza (attraverso la civiltà), abbiamo relegato ai margini della società e ora tentiamo inutilmente di pacificare. Così Otesanek è sempre con noi e ci divora. Forse è la punizione per una civiltà riuscita male.


Altri film, che non sono presenti nel libro, sono Sileni del 2005




e Surviving Life (Theory and Practice) del 2010:



che è stato anche presentato al Festival di Venezia di quest'anno.



Jan Svankmajer ha realizzato anche cortometraggi con la tecnica dello stop-motion:








Questi sono solo alcuni.


E come ultima chicca vi propongo qui il suo Decalogo scritto nel 1999, un decalogo che parla di cinema, ma credo che alcune cose si possano attenere alle altre arti:

1. Tieni ben presente che la poesia è una sola. L'antitesi della poesia è la specializzazione professionale. 
Prima di cominciare a girare un film, mettiti a scrivere dei versi, dipingi un quadro, fa un collage, scrivi un romanzo, un saggio ecc... Perché solo coltivando l'universalità dell'espressione potrai essere sicuro di girare un buon film.
2. Abbandonati interamente alle tue ossessioni. Tanto non hai certo nulla di meglio. Le ossessioni sono relitti d'infanzia. Ed è proprio dalla profondità dell'infanzia che hanno origine i tesori maggiori. Occorre tenere sempre le porte aperte in quella direzione. Non si tratta di ricordi, ma di sensazioni. Non si tratta di coscienza, ma di inconscio. lascia che questo fiume sotterraneo scorra liberamente dentro di te. Concentratici sopra, ma al tempo stesso rilassati al massimo. Quando giri un film, devi rimanerci dentro 24 ore su 24. Poi tutte le tue ossessioni, la tua infanzia, si trasferirà nel film senza che tu neanche ne abbia coscienza. E il tuo film si trasformerà in un trionfo dell'infantilismo. E proprio di questo si tratta.
3. Usa l'animazione come fosse un'operazione magica. Animare non significa far muovere cose inanimate, ma infondere loro la vita. O meglio ancora: risvegliarle alla vita. Prima di infondere la vita in qualche oggetto del film, prova a comprenderlo. A comprendere non la sua funzione utilitaristica, ma la sua vita interiore. Gli oggetti, soprattutto quelli vecchi, sono stati testimoni di azioni diverse e di destini diversi che si sono impressi su di loro. Sono stati toccati da persone nelle più diverse situazioni, in preda ad emozioni diverse e che hanno impresso su di loro i propri stati psichici. Se vuoi rendere visibili attraverso la cinepresa questi loro contenuti nascosti, devi stare ad ascoltarli, talvolta anche per diversi anni. Devi prima diventare un collezionista e solo più tardi un cineasta. Il processo di infondere la vita con l'animazione deve avvenire in modo del tutto naturale. Deve partire dagli oggetti non dalla tua volontà. Non usare mai violenza sugli oggetti! Non raccontare le tue storie con l'aiuto degli oggetti, ma le storie loro.
4. Trasferisciti continuamente dal sogno alla realtà e viceversa. Non esistono passaggi logici di alcun genere. Tra il sogno e la realtà c'è un'unica e sola operazione fisica: sollevare o abbassare le palpebre. Nel sogno ad occhi aperti si elimina poi anche questo.
5. Se devi decidere a cosa dare la precedenza, se allo sguardo dell'occhio o al vissuto del corpo, dà sempre precedenza al corpo perché il tatto è un senso più antico rispetto alla vista e l'esperienza acquisita attraverso il tatto è di gran lunga più importante. Inoltre, nell'attuale civiltà audiovisivica, l'occhio è alquanto stanco e "corrotto". L'esperienza del corpo è più autentica, non ancora gravata dall'estetizzazione. Il punto di fuga che ovviamente non deve mai perdere la vista è la sinestesia.
6. Quanto più ti inoltri in un'azione fantastica, tanto più devi essere realista nei dettagli. Qui è necessario rifarsi interamente all'esperienza del sogno. Non aver paura della "noiosa descrittività", dell'ossessione pedante del "dettaglio inutile", del documentarismo, se vuoi davvero convincere lo spettatore che tutto ciò che vede nel film lo riguarda realmente, che non si tratta cioè di qualcosa che sta al di fuori del suo mondo, ma - al contrario - di qualcosa in cui lui è immerso fino al collo senza neanche rendersene conto. Ed è proprio di questo che tu, con l'aiuto di tutti i trucchi cinematografici che sai padroneggiare, devi convincerlo.
7. L'immaginazione è sovversiva perché oppone ciò che è possibile a ciò che è reale. Per questo tu usa sempre l'immaginazione più sfrenata. L'immaginazione è il dono più grande che l'umanità abbia ricevuto. E' l'immaginazione che rende l'uomo umano non certo il lavoro. L'immaginazione, l'immaginazione, l'immaginazione...
8. Scegli per principio temi verso i quali hai un rapporto ambivalente. Tale ambivalenza deve essere sufficientemente forte (profonda), incontrovertibile, in modo che tu possa camminare sul filo della sua lama senza né cadere da un lato né da un altro o - al contrario- da entrambi i lati contemporaneamente. Solo così eviterai il maggiore degli sbagli: un film a tesi.
9. Coltiva la tua creazione come strumento di autoterapia. Tale atteggiamento antiestetico avvicina infatti la creazione artistica alle porte della libertà. Se la creazione artistica ha un qualche senso, allora è essenzialmente di liberarci. Nessun film (quadro, poesia) può liberare l'osservatore se prima non procura un analogo sollievo all'autore stesso. Tutto il resto è una pura questione di "generica soggettività". La creazione artistica come liberazione permanente.
10. Dà sempre precedenza alla creazione, alla continuità del modello interiore o dell'automatismo psichico rispetto alla semplice idea. Un'idea - foss'anche la migliore - non può costituire un motivo sufficiente per mettersi a sedere dietro la cinepresa. Creare non significa brancolare da un'idea all'altra. L'idea trova il suo giusto posto nella creazione artistica solo nel momento in cui il tema che vuoi esprimere è stato vissuto da te pienamente. Soltanto dopo arrivano le idee giuste. L'idea è solo una delle componenti del processo creativo, non certo l'impulso che gli dà l'avvio.
Non lavorare mai, improvvisa sempre. La sceneggiatura è importante per il produttore non certo per te. E' solo un documento non impegnativo al quale ricorrere soltanto nei momenti in cui l'ispirazione fa cilecca. Se ti accade per più di tre volte durante le riprese del film, allora si tratta di un segnale: o stai lavorando al film "sbagliato" oppure hai finito.

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Il fatto che io abbia formulato questo "Decalogo" non significa certo che mi ci attenga coscientemente. Sono regole che in qualche modo si deducono dalla mia opera non che la precedono.
Del resto, ogni comandamento è fatto per essere violato (non aggirato). Esiste ovviamente un'ulteriore regola che, se violata  (o peggio ancora, aggirata) è deleteria per ogni artista:

non mettere mai la tua opera al servizio di qualcosa di diverso dalla libertà


Aggiornamento 4 gennaio 2011: I film di Svankmajer non sono stati doppiati in italiano anche perché non sono mai stati distruibiti in sala o per l'home video. Esiste un dvd italiano della Raro Video (qui il link dove potrete vederlo) che s'intitola Il mondo di Jan Svankmajer con 2 dvd che contengono i 14 cortometraggi, ma anche questo non è stato doppiato, solo sottotitolato.
Ringrazio Eraserhead per queste note.

15 commenti:

  1. Grazie mille per questo fantastico post, Elena! Ci voleva proprio un bell'articolo su Svankmajer e i suoi film, in più hai anche trascritto delle citazioni dai suoi diari, che si poteva pretendere di più? Ho anche apprezzato molto il decalogo finale che hai messo come chicca; a proposito, da dove l'hai preso, sempre dal libro 'Memoria dell'animazione - Animazione della memoria'? In questo caso penso che dovrò procurarmelo anch'io! E poi ti volevo chiedere...quali suoi film sei riuscita a vedere integralmente, oltre ai cortometraggi? A me per esempio ha fatto molta impressione il suo 'Little Otik', che è senz'altro il film horror più stravagante mai girato! Purtroppo non esiste doppiato in italiano e perciò l'ho visto con i sottotitoli in inglese, ma è stata davvero un'esperienza incredibile ed emozionante, direi unica! Grazie ancora per il tuo omaggio al grande Svankmajer.

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  2. Proviene tutto dal catalogo.
    Purtroppo di suoi film ancora non sono riuscita a vedere però ho visto che su Youtube ci sono anche se non in lingua italiana.
    Ho visto i suoi cortometraggi.

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  3. Wow ci voleva un'abbuffata di Švankmajer! Grazie per avermi citato, ma ovviamente di fronte ad un tale genio mi faccio invisibile. Belle le citazioni, e spettacolare il decalogo.
    ... e santi numi Alma, ti mando un messaggio di posta dove poter recuperare tutti i suoi film così la tua vita migliorerà un pochino :)

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  4. Invisibile non direi perché grazie ai tuoi post fai conoscere Svankmajer ed altri autori a chi magari è interessato al cinema, ma non li ha mai visti.
    Diciamo che sei un divulgatore :)

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  5. questo è amore!

    e Svankmajer se lo merita:)

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  6. Già, Svankmajer si merita questo ed altro ancora.
    Grazie mille per essere passato/a

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  7. Decisamente meglio dell'Alice di Tim Burton che, anche a me, mi ha lasciato tantissimo con l'amaro in bocca... Ammetto comunque di essere una delle ignoranti che non conosceva questo regista prima di leggere il tuo post... prometto che mi rimetterò in pari!...

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  8. Felice di avertelo fatto conoscere. Credo che dopo aver visto qualcosa di suo, non lo si dimentica più.

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  9. Complimenti per questo fantastico post che mi ha fatto conoscere Svankmajer (anch'io facevo parte delle ignoranti)! Trovo proprio interessante il suo rapporto all'arte, la sua messa in guardia contro l'arte-intrattenimento (che non merita il nome di arte), la sua ricerca continua. Invece mi pare che, come l'uomo moderno, si fidi un po' troppo della parola "libertà". Questa parola ultimamente ha assunto un senso ambiguo che si confonde con l'individualismo (quale va avanti insieme al consumismo, il nemico della vera libertà). Questa mia osservazione però è influenzata di ciò che ho appena letto e non dei numerosi video che ho appena guardato, e quindi si tratta più di un confronto di idee che di una critica al suo cinema, infatti molto "libero".

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  10. Sì, credo che si confonda la libertà con l'invidualismo e alla fine ci si dimentica del vero significato della libertà.
    La libertà dei video di Svankmajer alla fine può sembrare appunto bizzarra, strana forse perché non pensiamo pià in quel modo.
    Sono doppiamente felice: di avertelo fatto conoscere e che tu finalmente abbia commentato.

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  11. Nessuno dei suoi lavori è stato doppiato in italiano?

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  12. Post interessantissimo!
    Ne sento parlare da molto, ma ancora non ho visto nulla di suo. Devo rimediare.

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  13. Meticoloso e raffinato come quasi tutti i tuoi post. Il "Decalogo" non l'avevo mai neanche sentito nominare.
    Con un po' di impegno i suoi film si possono reperire, ma non credo siano mai stati doppiati in italiano, perlomeno, io li ho sempre visti in originale, coi sottotitoli in inglese. Non è il massimo, capisco, però ci va vicino.
    Ciao e Buoni pensieri.

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  14. @ moderatamente ottimista: Grazie infinite. Guarda, anch'io devo recuperare.

    @ Cotone: Infatti come ho poi chiesto e scritto nel finale, non c'è alcuna distribuzione italiana tranne per quel dvd di cortometraggi che però non sono stati doppiati.
    Anche per me il Decalogo è stata una scoperta: non lo conoscevo prima di leggere quel libro.

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Grazie per i commenti