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giovedì 21 ottobre 2010

Poesie per Ravenna (Lord Byron, Wilde, D'Annunzio, Hesse, Montale)

In questo post parlavo, verso la fine, della fama che la mia città, Ravenna, aveva tra gli artisti e delle poesie dedicate ad esse. Ecco voglio dedicare questo post a queste poesie.

Credo sia inutile parlare di Dante, ma altri poeti sono rimasti colpiti dal fascino di questa città come è successo con George Gordon Byron venuto per amore di Teresa Guiccioli. In questa pagina potete leggere meglio.

Nel 1877, un altro poeta ossia Oscar Wilde (allora ventitreenne) visitò Ravenna entrandoci a cavallo. Un anno dopo scrisse una poesia dove riportò le sue sensazioni (qui in lingua originale) e con questa poesia vinse l'Oxford Newdigate Prize. La traduzione è di Masolino D'Amico.

Ravenna

1

 Un anno fa respiravo l'aria italiana, -
Eppure, mi sembra, questa primavera nordica è bella, -
Questi campi indorati dal fiore di marzo,
Il tordo che canta sopra il piumato larice,
I gracchianti corvi, le colombe del bosco che svolazzano,
Le nuvolette che corrono per il cielo;
E bello è il capo dolcemente inclinato della viola,
La primula, pallida per amore non consolato,
La rosa che germoglia sul rampicante rovere,
L'aiuola di crochi, (che sembra una luna di fuoco
Cinta da un vermiglio anello matrimoniale);
E tutti i fiori della nostra Primavera Inglese,
Gli innamorati bucaneve, e la giunchiglia della stella lucente.
Sfreccia in alto l'allodola accanto al murmure mulino,
E spezza i fili di tela di ragno della prima rugiada;
E giù lungo il fiume, come la fiamma azzurra,
Tagliente come un dardo vola il re delle acque,
Mentre gli scuri fanelli cantano nel verde.
Un anno fa! - sembra poco tempo
Da quando vidi quell'altera regione meridionale,
Dove fiore e frutto sbocciano a vermiglia radiosità,
E come luminose lanterne le mitiche mele rilucono.
Piena primavera era - e per ricchi vigneti in fiore,
Scuri uliveti e nobili pinete,
Cavalcai a mio piacere; l'umida lieta aria era dolce,
La bianca strada risuonava sotto gli zoccoli del mio cavallo,
E meditando sul nome antico di Ravenna
Scrutai il giorno finché, segnato da ferite di fiamma,
Il cielo di turchese divenne oro brunito.

 Oh, come il mio cuore arse di fanciullesca passione
Quando lontano oltre falaschi e stagno
Vidi quella Città Santa ergersi netta,
Coronata della sua colonna di torri! - Avanti e avanti
Galoppai, in gara contro il sole calante,
E prima che l'ultimo bagliore vermiglio fosse trascorso,
Fui entro le mura di Ravenna, finalmente!


2

 Quale strano silenzio! nessun suono di vita o gioia
Riscuote l'aria; nessun ridente pastorello
Suona la zampogna, né mai durante il giorno
Giunge il lieto suono di bambini intenti al gioco:
O triste, e dolce, e muta! certo qui
Un uomo potrebbe dimorare lontano dalla inquieta paura,
Osservando la marea delle stagioni che fluiscono
Dall'amorosa primavera alla pioggia e alla neve d'inverno,
E non aver pensiero di affanni; - qui, invero,
Sono le acque del Lete, e quell'erba maligna e fatale
Che fa dimenticare la propria patria.

 Sì! Fra i prati di loto tu ti ergi,
Come Proserpina, con capo carico di papaveri,
A guardia delle sante ceneri dei morti.
Poiché per quanto la tua covata di figli guerrieri sia cessata,
I tuoi nobili morti sono con te! - essi almeno
Sono fedeli al tuo onore: - custodiscili bene,
O città senza figli! poiché un potente incantesimo,
Per destare i cuori degli uomini a sogni di cose sublimi,
Sono le tombe solitarie ove riposano i Grandi del Tempo.

3

 Quella colonna solitaria, ergendosi sulla pianura,
Segna dove il più valoroso cavaliere di Francia fu trucidato, -
Il Principe della cavalleria, il Signore della guerra,
Gastone de Foix: poiché una stella prematura
Lo guidò contro la città, ed egli cadde,
Come cade qualche leone della foresta, combattendo bene.
Tolto alla vita mentre vita e amore erano nuovi,
Egli giace sotto l'ininterrotto velo azzurro di Dio;
Alti giunchi simili a lance gli ondeggiano tristi sul capo,
E oleandri fioriscono in un rosso più cupo,
Dove la sua luminosa giovinezza fece scorrere del vermiglio sulla terra.

 Guarda oltre a nord, verso quel tumulo infranto -
Là, prigioniero ora di una tomba solenne
Eretta dalla mano di una figlia, in solitaria malinconia,
Il gigantesco Teodorico, re dei Goti,
Dorme dopo tutto il suo conquistare.
Il tempo non gli ha risparmiato la rovina - vento e pioggia,
Hanno infranto la sua roccaforte, e di nuovo
Vediamo che la Morte è il signore più possente di tutti,
E re e pagliaccio in polvere di cenere debbono cadere.

 Possente invero la loro gloria! pure per me,
Re barbaro, o cavaliere della cavalleria,
O la grande regina stessa, furono poveri e vani,
A petto della tomba dove Dante riposa dagli affanni.
Il suo aureo sepolcro giace aperto all'aria;
E abili mani di scultore vi hanno intagliato
La calma fronte bianca, calma come il primo mattino,
Gli occhi che lampeggiarono di amore e disprezzo appassionato,
La bocca che cantò di Cielo e Inferno,
Il viso di mandorla che Giotto disegnò così bene,
Lo stanco viso di Dante; - fino ad oggi,
Qui in questo luogo di riposo, assai lontano
Dalle gialle acque dell'Arno, che precipitano
Sotto gli ampi ponti di quella città fatata,
Dove l'alta torre di Giotto sembra alzare
Un giglio di marmo sotto cieli di zaffiro!
Ahimé! mio Dante! tu conosci la pena
di vite più vili, -l'irritante catena dell'esilio,
Come siano ripide le scale nelle case dei re,
E tutte le piccole miserie che guastano
La più nobile natura dell'uomo con il senso del torto.
Pure questo sordo mondo ti è grato per il tuo canto;
Le nostre nazioni ti rendono omaggio, - lei stessa,
Quella crudele regina della Toscana vestita di vigne,
Che cinse la tua viva fronte con la corona di spine,
Ora ha adornato di alloro la tua tomba vuota,
E chiede invano le ceneri del suo figlio.

 O più possente fra gli esuli! Tutto il tuo dolore è finito:
La tua anima incede ora accanto alla tua Beatrice;
Ravenna custodisce le tue ceneri: dormi in pace.

4

 Com'è solitario questo palazzo; come grige le mura!
Nessun menestrello ora desta echi in queste sale.
La catena spezzata giace rugginosa a terra,
E nocive erbacce hanno spaccato il pavimento di marmo:
Qui si annida il serpente, e qui corre la lucertola
Presso i leoni di pietra che strizzano gli occhi al sole.
Byron dimorò qui per amore e sogno
Due lunghi anni - un secondo Antonio,
Che del mondo fece un'altra Azio!
Pur non lasciò che la sua anima reale venisse meno,
Né che la lira si spezzasse, o che spuntasse la lancia
Per gli incanti di una regina egizia.
Lontano da Oriente giunse un potente grido,
e la Grecia si alzò in piedi per lottare per la Libertà,
e lo chiamò da Ravenna: mai cavaliere
Cavalcò con più nobiltà verso selvagge scene di pugna!
Nessuno cadde più animosamente su campo insanguinato,
Riportato come uno spartano, sul proprio scudo!
O Ellade! Ellade! nella tua ora di fierezza,
Nel tuo giorno di forza, ricorda colui che morì
Per strapparti dalle membra l'intralciante catena:
O Salamina! O solitaria pianura di Platea!
O ribollenti onde del selvaggio mar Eubeo!
O alture ventose delle solitarie Termopili!
Egli vi amò assai - sì, non solo al mondo,
E liberamente ti diede la sua lira e la sua spada,
Come Eschilo alla ben pugnata Maratona:

 E l'Inghilterra, anche, si glorierà del suo figlio,
Il suo poeta-soldato, primo nel canto e nella pugna.
Non più adesso il velenoso disprezzo della Calunnia
Striscerò come una serpe sul suo perfetto nome,
O macchierà l'augusto stemma della sua fama.

 Poiché come la ghirlanda d'ulivo della corsa,
Che accende di gioia il viso di ogni bramoso corridore,
Come la rossa croce che salva gli uomini in guerra,
Come un faro barbuto di fiamma, visto da lontano
Da marinai su di un mare agitato dalla tempesta, -
Tale fu il suo amore per la Grecia e la Libertà!

 Byron, le tue corone sono sempre fresche e verdi:
Rosse foglie di rosa dalla Saffica Mitilene
Ti cingeranno le tempie; i germogli del mirto per te,
In nascosti boschetti presso la solitaria Castalia;
Gli allori attendono il tuo arrivo: tutti sono tuoi,
E intorno al tuo capo un serto perfetto intrecceranno.

5

 Le vette dei pini dondolavano alla brezza della sera
Col roco mormorio dei mari invernali,
E gli alti fusti erano striati di lucente ambra; -
Vagai per il bosco in folle piacere,
Qualche uccello spaventato, con svolazzanti e agili ali,
Fece beve di tutti i fiori; ai miei piedi,
Come corone argentee, giacquero i pallidi narcisi,
E uccelletti cantarono su ogni frasca attorcigliata.
O alberi ondeggianti, o libertà della foresta!
Nelle vostre dimore almeno l'uomo è affrancato,
E quasi dimentica lo stanco mondo della lotta:
Il sangue scorre più caldo, e un senso di vita
Si ridesta nelle vene ravvivate, mentre ancora una volta
I boschi si riempiono di dei che credevamo trucidati.
A lungo guardai, e certo sperai di vedere
Qualche Pan dal pié caprino fare lieti canti e musiche
Fra i giunchi! qualche spaventata vergine driade
In fanciullesca fuga! o in agguato nella radura,
I morbidi arti scuri, la licenziosa faccia traditrice
Di un dio boschivo! Diana Regina alla caccia,
Dalle bianche membra e terribile, con espressione fiera.
E muta di cani da cinghiale che le balzano al fianco!
O Ila rispecchiato nella perfetta corrente.

 O cuore ozioso! O folle sogno ellenico!
Di lì a non molto, con malinconico sorgere e gonfiarsi,
I rintocchi della sera, la campagna vespertina del convento,
Colpirono le mie orecchie fra i fiori innamorati.
Ahimé! Ahimé! queste ore dolci e mielate
Avevano sopraffatto il mio cuore con un mare prepotente,
E annegato ogni pensiero del nero Getsemani.

6

 O solitaria Ravenna! molti racconti sono stati fatti
Delle tue grandi glorie negli antichi giorni:
Duemila anni sono passati dacché vedesti
Cesare cavalcare alla vittoria imperiale.
Possente il tuo nome quando le snelle aquile di Roma volarono
Dalle isole di Britannia al lontano Eufrate azzurro;
E dei popoli tu fosti nobile regina,
Finché nelle strade il Goto e l'Unno furono visti.
Privata della corona dall'uomo, abbandonata dal mare,
Tu dormi, cullata nella solitaria miseria!
Non più ora sulla tua onda rigonfia
A mò di pineta, galleggiano le tue mille galere!
Poiché là dove solevano galleggiare le navi dalla prua di ottone,
Lo stanco pastore suona la sua nota dolente;
E le bianche pecore sono libere di andare e venire
Dove le acque vermiglie di Adria scorrevano un tempo.

 O bella! O triste! O Regina sconsolata!
In devastata leggiadria tu giaci morta,
Sola di tutte le tue sorelle; poiché infine
Il regale guerriero d'Italia ha varcato
Il più solenne ingresso di Roma, e ha indossato la sua corona
Negli alti templi della Città Eterna!
Il Palatino ha riaccolto il suo re,
E del suo nome squillano i sette colli!

 E Napoli è vissuta più a lungo del suo sogno di dolore,
E si beffa del suo tiranno! Venezia si rianima,
Risorta dadlle acque! e il grido
Di Luce e Verità, di Amore e Libertà,
E' udito nella maestosa Genova, e dove
Le marmoree spire di Milano feriscono l'aria,
Squilla dalle Alpi alla sponda di Sicilia,
E il sogno di Dante ora non è più tale.

 Ma tu, Ravenna, di tutte la più amata,
I tuoi palazzi in rovina che sono un manto
Che nasconde la tua grandezza caduta! e il tuo nome
Arde come una grigia e sfavillante fiamma di candela
Sotto lo splendore meridiano del sole
Della nuova Italia! Poiché la notte è finita,
La notte della buia oppressione, e il giorno
E' spuntato in appassionato splendore: lontano
I cani austriaci sono scacciati dalla terra,
Oltre quelle cittadelle coronate di ghiaccio che si ergono
Cingendo la pianura della regale Lombardia,
Dal lontano Occidente dentro il mare Orientale.

 So, invero, che i tuoi figli sono morti
Nelle acque di Lissa, presso la montagna
Di Aspromonete, sul piano di Novara, -
Né i tuoi figli sono morti per te invano:
Eppure, credo, tu non hai bevuto questo vino
Da uva appena calpestata di Libertà divina,
Tu non hai seguito quell'immortale Stella
Che spinge i popoli a imprese di guerra.
Stanca di vita, tu giaci in muto sonno,
Come una che osserva le ombre che si allungano strisciare,
Indifferente a tutte le incalzanti ore che corrono,
In lutto per qualche giorno di gloria, poiché il sole
Di Libertà non ti ha mostrato il suo volto,
E tu non hai colto alcuna torcia nella corsa.

 Ma non destarti dai tuoi sopori, - riposa bene,
Fra i tuoi campi di ambreo asfodelo,
I tuoi prati punteggiati di gigli, - riposa lì,
A beffarti di ogni umana grandezza: chi ardirebbe
Sciorinare i futili dolori della sua vita
Davanti alle tue rovine, o lodare la lotta
Dell'ambizione di re, e lo sterile orgoglio
Di nazioni in guerra! non fosti tu la Sposa
Del feroce signore del procelloso mar d'Adria?
La Regina di duplici Imperi! e a te
Non furono le nazioni date in preda?
E ora - le tue porte sono aperte notte e giorno,
L'erba cresce verde su ogni torre e salone,
Lo spettrale fico ha spaccato il suo fortificato muro;
E dove i tuoi guerrieri coperti di ferro si erano riposati
Il gufo di mezzanotte ha fatto il suo nido segreto.
O caduta! caduta! dalla tua alta condizione,
O città invischiata nelle trappole del Fato,
Non resta niente di tutti i suoi giorni di gloria
Se non uno scudo sordo, una corona di allori disseccati!

Pure chi sotto questa notte di guerre e paure,
Da torre tranquilla può contemplare gli anni che vengono;
Chi può prevedere quali gioie il giorno recherà,
O perché prima dell'alba cantino i fanelli?
Tu, proprio tu, puoi destarti, come si desta la rosa
A splendore vermiglio dalla sua tomba di nevi;
Come i ricchi campi di grano si levano in rosso e oro
Da queste torri scure, ora rigide per il freddo inverno;
Come dal tormento della tempesta giunge una perfetta stella!

 O città molto amata! Ho vagato lontano
Dalle isole circondate d'acqua della mia patria;
Ho visto il cupo mistero della Cupola
Sorgere lento dal cupo cammino per la Campagna,
Rivestito dalla porpora regale del giorno:
Io dalla città della corona viola
Ho guardato il sole coricarsi presso il colle di Corinto,
E ho osservato le "miriade risate" del mare
Dai colli illuminati delle stelle dall'Arcadia stellata di fiori;
Pure a te torna il mio perfetto amore,
Come al suo nido della foresta la colomba della sera.

 O città del poeta! uno che a stento ha visto
Venti estati scambiare il loro verde giustacuore
con la livrea di Autunno, invano cercherebbe
Di destare la sua lira a cantare una melodia più sonora,
O di narrare i tuoi giorni di gloria; - povero invero
E' il basso mormorio della zampogna del pastore,
Dove lo squillo sonoro della chiarina dovrebbe scuotere il cielo
E fiammeggiare nel firmamento! e tentare
Temi così alti sarebbe folle: pure io so
Che non ha mai provato il mio cuore un calore più nobile
Di quando destai il silenzio della tua via
Col calpestio clamoroso degli zoccoli del mio cavallo,
E vidi la città che ora tento di cantare,
Dopo lunghi giorni di stanco viaggio.

7

 Addio, Ravenna! solo un anno fa
Mi fermai a contemplare il vermiglio tramonto luccicante
Dalla cappella solitaria sulla tua paludosa pianura:
Il cielo era come uno scudo che rifletteva la macchia
Del sangue e della battaglia dal sole moribondo,
E a occidente le circolanti nubi avevano tessuto
Un manto regale, che qualche gran Dio avrebbe potuto indossare,
Mentre in mari oceanici di aria cremisi
Sprofondava l'aurea galera del Signore della Luce.

 Pure qui il gentile silenzio della notte
Riporta la gonfia marea della memoria
E ridesta il mio amore appassionato per te:
Ora è la Primavera dell'Amore, pure tosto verrà
Su prato e albero il maestoso fiorire dell'estate;
E tosto l'erba di fiori più lucenti germoglierò,
E farà spuntare gigli che qualche fanciullo vorrà cogliere.
Poi non molto tempo dopo il vincitore dell'estate,
Il ricco tempo d'autunno, usuraio della stagione,
Presterà a tutti gli alberi il suo oro ammassato ,
E lo vedrà sparpagliato dalla prodiga brezza;
E dopo quello, l'inverno freddo e temuto.
Così scorre il ciclo perfetto dell'anno.
E così da giovinezza a virilità procediamo,
E decadiamo in stanchi giorni e chiome di neve.
L'amore solo non conosce inverno; mai non muore:
Né si cura di accigliate tempeste o plumbei cieli,
E il mio per te non passerà mai,
Anche se le mie deboli labbra possano esitare nel mio canto.

 Addio! Addio! quella muta stella della sera,
Ambasciatore della notte, riluce di lontano,
E ordina al pastore di portare i suoi greggi all'ovile.
Forse prima che i nostri mari d'oro isolani
Siano raccolti dai mietitori in covoni,
Forse prima ch'io veda le foglie d'autunno,
Potrò contemplare la tua città: e deporre
Ai tuoi piedi il serto d'alloro del poeta.

 Addio! Addio! quel lume argentesco, la luna,
Che muta la nostra mezzanotte in perfetto mezzodì,
Certo accende le tue torri, che ben custodiscono i luoghi
Dove Dante dorme, dove Byron amò dimorare.

Anche Gabriele D'Annunzio celebrò Ravenna nel 1903 con la raccolta Elettra nelle città del silenzio:

Ravenna, glauca notte rutilante d’oro,
sepolcro di violenti custodito
da terribili sguardi,
cupa carena grave d’un incarco
imperiale, ferrea, construtta
di quel ferro onde il Fato
è invincibile, spinta dal naufragio
ai confini del mondo,
sopra la riva estrema!

Ti loderò pel funebre tesoro
ove ogni orgoglio lascia un diadema.
Ti loderò pel mistico presagio
che è nella tua selva quando trema,
che è nella selvaggia febbre in che tu ardi.
O prisca, un altro eroe renderà l’arco
dal tuo deserto verso l’infinito.
O testimone, un altro eroe farà di tutta
la tua sapienza il suo poema.

Ascolterà nel tuo profondo
sepolcro il Mare, cui ’l Tempo rapì quel lito
che da lui t’allontana; ascolterà il grido
dello sparviere, e il rombo
della procella, ed ogni disperato
gemito della selva. «È tardi! È tardi!»
Solo si partirà dal tuo sepolcro
per vincer solo il furibondo
Mare e il ferreo Fato.

e ancora  più avanti con:
 
RAVENNA

Ravenna, Guidarello Guidarelli
dorme supino con le man conserte
su la spada sua grande. Al vólto inerte
ferro morte dolor furon suggelli.

Chiuso nell’arme attende i dì novelli
il tuo Guerriero, attende l’albe certe
quando una voce per le vie deserte
chiamerà le Virtù fuor degli avelli.

Gravida di potenze è la tua sera,
tragica d’ombre, accesa dal fermento
dei fieni, taciturna e balenante.

Aspra ti torce il cor la primavera;
e, sopra te che sai, passa nel vento
come pòlline il cenere di Dante.


L'apparenza di città dormiente compare anche nel poema di Hermann Hesse (qui la poesia in lingua originale) da lui visitata quando lui nel primo Novecento, poco più che ventenne, venne qui in Italia. Però scrisse anche ...Oh Venezia! Oh Ravenna! In questi luoghi, dove sono stato solo da estraneo, potrei forse vivere...

Anche Eugenio Montale scrisse una poesia ambientata a Ravenna, ma per sapere meglio, è bene consultare questa pagina.

Dora Markus

I
Fu dove il ponte di legno
mette a Porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all'altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale fino alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s'affondava
una primavera inerte, senza memoria.

E qui dove un'antica vita
si screzia si una dolce
ansietà d'Oriente
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.

La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in quel lago
d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco,
d'avorio; e così esisti!

II

Ormai nella tua Carinia
di mirti fioriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl'irti
pinnacoli e le accensioni
del vespro e nell'acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.

La sera che si protende
sull'umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d'oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.

La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d'oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l'armonica guasta nell'ora
che abbuia, sempre più tardi.

E' scritta là. Il sempreverde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino...
Ma è tardi, sempre più tardi.

Più avanti voglio parlare dell'ispirazione pittorica di Ravenna.

P.S.: Se qualcuno sa il tedesco, vorrebbe tradurre la poesia di Hermann Hesse?

Aggiornamento 20 giugno 2013:
Un lettore mi segnala una poesia sulle donne di Ravenna di Hermann Hesse e cercandola ne trovo una sua altra (quella che intendevo all'inizio e che mi accorgo adesso era presente nei commenti. Ringrazio ancora colui che l'ha riportata nei commenti e chiedo scusa per non aver inserito subito la poesia come era giusto.)

I

Sono stato anche a Ravenna.
E’ una piccola città morta,
ricca di chiese e di rovine,
di cui notizia più d’un libro porta.

 Tu l’attraversi e poi ti guardi intorno,
le sue strade sono torbide e bagnate
e sono da un millennio mute
e dappertutto trovi erba e muschio.

E’ come per le canzoni un po’ passate:
nessuno ride dopo averle ascoltate;
ma poi tutti le voglion riascoltare;
e sino a tarda notte meditare.

II

Le donne di Ravenna portano

negli occhi profondi e nei teneri gesti
in sé una coscienza dei giorni
dell’antica città e delle sue feste.

Le donne di Ravenna piangono

profonde e sommesse, come bambini quieti.
E quando ridono, pare di sentire
di un testo cupo la chiara melodia.

Le donne di Ravenna pregano

come bambini:  miti e appagate.
Parole d’amore posson dire:
e loro stesse non sanno di mentire.
Le donne di Ravenna baciano
con strana e profonda dedizione.

E loro della vita altro non sanno
se non che tutti dobbiamo morire.


8 commenti:

  1. Molto bello e sentito questo post dove citi poesie di grandi scrittori e poeti che sono rimasti incantati dalla bellezza di Ravenna. Quanti bei ricordi, per me che anni fa ne percorrevo a piedi le strade per andare al Liceo!....

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  2. Bentornato Andrea! Mi fa piacere che il post ti abbia portato bei ricordi. Ci speravo.

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  3. Non sono mai stata a Ravenna... ma leggere questi versi mi ha veramente fatto venir voglia di visitarla!...

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  4. Mi fa davvero piacere! Forse a primo acchito Ravenna di adesso ti sembrerà diversa da quelle delle poesie, ma basta scostare un attimo che rieccola, la Ravenna che ha affascinato. Peccato che molti non se ne rendono conto e purtroppo ci stanno anche dei miei concittadini.

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  5. Sono di Ravenna! Mi è piaciuta molto la tua pagina. Ravenna, nome bello, nome glorioso.
    Sono commossa quando ne sento parlare in versi e non. Sono di Ravenna e con orgoglio purosangue ravennate almeno fino ai miei bisnonni. Grazie ravenna

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  6. E io ringrazio te per questo tuo entusiasmo.

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  7. Io sono stato anche a Ravenna.
    E’ una città piccola e morta,
    che ha molte chiese e rovine,
    di cui parlano i libri.

    L’attraversi e ti guardi intorno,
    strade torbide e bagnate
    da un millennio mute
    ovunque erba e muschio.

    E’come nelle vecchie canzoni
    le ascolti ma nessuno ride
    ma tutti vogliono riascoltarle
    e sino a tarda notte meditare.

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  8. grazie a te per questo piccolo contributo e sì, per chi si vuole fermare ad ascoltare, Ravenna li accontenta.

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Grazie per i commenti